Al Teatro Porta Portese di Roma ci sarà la prima nazionale dello spettacolo “L’Essenza”.  Un viaggio d’introspezione verso una nuova vita, fatta di semplicità e costellata dai ricordi musicali: Patty Smith, Antony, Simon and Garfunkel, Amy Winehouse, Alanis Morrisette.

  

“Questo spettacolo” – spiega il regista Alessandro Fea – “vuole essere il racconto di un viaggio all’interno di sé stessi. Senza morale, senza retorica. C’è un momento nella vita in cui si sente la necessità di tornare alla semplicità, al nocciolo, all’Uno, come diceva Battiato. Si aggiunge tanto nella vita, ci si espande in esperienze, in una frenesia di accumulo. È giusto che ci siano fasi così, servono, ma a un certo punto si capisce che si ha bisogno di altro. Di tornare alle cose semplici. Alle emozioni semplici. A riscoprire cose banali che avevamo incautamente lasciato da parte. Non è un viaggio nostalgico, tutt’altro. È un viaggio per evolversi verso una nuova parte della nostra vita. Tornare a vedere i luoghi che hanno segnato uno spartiacque, ad ascoltare la musica che ci ha accompagnato, le poesie e i libri che abbiamo amato. S’inizia allora il viaggio, come la protagonista, Eleonora, che pur avendo già avuto tutto dalla vita, sente un vuoto dentro. Vuoto che, attraverso questo viaggio a ritroso nel tempo, proverà a colmare”. L’intervista con Alessandro Fea ci conduce nel suo mondo di parola e musica, colori e sogni, atmosfere e declinazioni

Caro Alessandro, il 25 febbraio debutterai in prima nazionale con un nuovo, avvincente spettacolo: “L’Essenza”. Cosa racchiude “L’Essenza” (scusa il giro di parole)?

La parola essenza negli ultimi anni della mia vita ha avuto un sempre maggiore peso. Per essenza intendo, semplicità, ritorno alla naturalità, tornare alla radice. Io stesso ho vissuto un percorso del genere come la protagonista del mio testo nuovo. Perché mi sono reso contro che nella vita, abbiamo tutti varie fasi, momenti, ma spesso tendiamo a riempire, aggiungere cose, situazioni, persone, quando poi ti accorgi ad un certo punto che è tutto più semplice di come sembra. È un pensiero che ho trovato tanto in Battiato, artista che amo alla follia, che spesso, anzi sempre, diceva questo: “Pensare l’UNO al di sopra del bene o del male”…“La linea orizzontale ci spinge verso la materia, quella verticale verso lo spirito”. Per citare alcune sue frasi, non tanto in senso filosofico, o spirituale, ma proprio come vissuto esistenziale. Si arriva ad un punto in cui secondo me si cerca più profondità, più sostanza, e ci si libera da tutto ciò che è superfluo. Che però attenzione ha avuto una sua funzionalità per arrivare dove si è. Quindi non va mai denigrato ciò che abbiamo percorso, anzi! Senza di quello non staremmo dove siamo: “non rimpiangere mai!”, diceva sempre il nostro Battiato. Alla base c’è una totale umiltà di accettazione di sé stessi, dei nostri pregi e difetti. Questo è forse il vero punto di arrivo che ti porta all’essenza, anche di noi stessi.

Perché fare un viaggio d’introspezione verso una nuova vita, fatta di semplicità e costellata dai ricordi musicali: Patty Smith, Antony, Simon and Garfunkel, Amy Winehouse, Alanis Morrisette?

Perché alcuni artisti che hai citato, hanno scritto, a mio avviso, brani emblematici a livello di ricerca interiore e di percorso di vita. Loro stessi (diversamente uno dall’altro ovviamente) hanno vissuto vite che li hanno portati a percorsi interiori, positivi o negativi. La stessa Alanis Morrisette, rockstar di successo, ha avuto nella sua vita un percorso incredibile a livello umano.

Per non parlare di Amy Winehouse, l’emblema degli ultimi anni di come essere artisti profondi ti apre secondo me una visuale su te stesso a dei livelli impensabili. Non sempre i viaggi di introspezione come sappiamo sono positivi, se non si riesce poi a reggere l’urto per le proprie fragilità o semplicità. La musica in questo viaggio della protagonista è sia scritta da me, che appunto contornata da brani che hanno avuto un significato fondamentale nella sua storia di vita.

Cosa rappresentano per te: Patty Smith, Antony, Simon and Garfunkel, Amy Winehouse, Alanis Morrisette?

Collegandomi alla domanda precedente, sono insieme ad altri (su tutti Lou Reed) l’esempio perfetto di come musica e parola possono unirsi e creare emozioni profonde, percorsi di profondità. Patti Smith la considero una delle menti più elevate. Ha avuto un percorso di vita così particolare e intenso, che ne ho da sempre totale ammirazione. Persona umilissima, ma allo stesso tempo così potente, piena, “sciamanica” come spesso viene etichettata. Ho scritto uno spettacolo su di lei che si chiama “Lasciatemi Libera” che porto in giro dal 2012. La poetessa del rock. Questa è la definizione che più amo. Antony rappresenta la parte più elevata per me della musica degli ultimi anni. Elevata in quanto quasi ascetica. La sua vocalità, il suo essere così unico a livello di percorso umano, lo rendono veramente qualcosa di incredibile. Tocca delle corde emotive con la sua voce, che pochi riescono.

Invece di scomodare artiste internazionali non sarebbe stato più facile fare un viaggio con: Mia Martini, Ornella Vanoni, Patty Bravo e perché no i Pooh?

Con la musica italiana ho sempre avuto un rapporto di amore/odio. Credo che abbiamo avuto ed abbiamo fior di autori, cantanti ma spesso è nello stile musicale che non mi appassiono più di tanto. Nella scelta degli arrangiamenti, delle sonorità, di come spesso le canzoni sono cantante, anche partendo da testi bellissimi. Amo tantissimo la musica italiana anni ’60, ma gli esempi citati sopra non rappresentano affatto la mia idea di percorso di vita.  Mi sento più vicino ad un De Andrè, a Battiato, Alice, ai CSI ad esempio (che amo), e seguo comunque artisti anche contemporanei, perché secondo me dietro ad uno stile spesso che non amo (vedi la Trap), a volte, troviamo invece giovani artisti davvero notevoli. Madame, Lazza, questi nuovi giovani che sono usciti non sono per niente male, preferisco più questo ai “classici” arrangiamenti italiani.

È un fatto di “suono” del pezzo.

Cosa significa per te: “Nessuno mi stava aspettando. Ma mi aspettava ogni cosa (Patty Smith)?

Credo sia un po’ il significato più profondo proprio di quello che cerco di dire nel testo.

Cioè un non aspettarsi nulla, mai. Perché questo ci crea aspettative che spesso ci rendono schiavi e frustrati qualora le cose non accadano. Tutti noi sappiamo bene e viviamo questo. Chi più chi meno. Non vuol dire vivere senza obiettivi, fini, tutt’altro. Dovrebbe essere dare un giusto peso e valore alle cose, un giusto equilibrio alla nostra vita. Perché di esperienze ne abbiamo fatte, ne faremo. Basta aprirsi a ciò che arriva.

Chi è la protagonista della pièce?

La protagonista è una donna qualunque, ma potrebbe essere anche un uomo. È una donna che crede di avere avuto tutto dalla vita, che pensa di essere arrivata ad una stabilità economica, personale, di vita; invece, si accorge che non è così.Quel vuoto dentro è dettato da una mancanza. Non riuscendo a trovare il bandolo della matassa, che la sta mettendo in crisi, decide di fare un viaggio a ritroso nella sua vita, attraverso dei luoghi e delle persone. che l’hanno comunque segnata, nel bene e nel male.

Chi sono i tuoi compagni di viaggio e che ruolo hanno?

Un’amica ha un ruolo molto marginale. In sostanza il viaggio è da sola.

Quanto è importante in uno spettacolo riuscire a mettere insieme la parola letta e sonorizzata, il suono, la musica, le emozioni?

Moltissimo. Non è per niente facile, anzi. Per me è sempre una sfida aperta. Una delle più grandi.

La parola ha già un suo suono, ed abbinarci un altro suono, è sempre un’incognita. In più lo scalino successivo è fare in modo che suono e parola, se abbinate bene, creino emozioni in chi ascolta. Per questo amo autori come Patti Smith e Lou Reed dove è proprio dal suono della parola che parte tutto. Le loro voci già da sole trasmettono emozioni

Una persona che guarda il tuo spettacolo crede si troverà a riflettere su sé stessa e la vita?

Non ho questa presunzione. Non voglio dettare nessuna linea guida di percorso umano o personale. Anzi, io per primo sono ancora completamente in viaggio. Semplicemente creare un contenitore, un momento dove ci si può fermare e cercare di ascoltarsi. Senza giudizio. Senza aspettative. Da lì ognuno spero possa trovare un input, una risonanza personale.

Quanto è importante la crescita interiore?

Fondamentale. È lì la vera crescita, è lì il vero viaggio. Perché ognuno di noi è bello o brutto, ognuno di noi ha pregi e difetti. Come si dice, il primo passo è l’accettazione di quello che si è. Che già di per sé richiede un percorso lunghissimo, e non sempre ci si arriva! Non esiste una modalità giusta per fare un viaggio dentro noi stessi. Però credo che il primo passo, sia proprio prendere consapevolezza di volerlo fare. Già quello è segno enorme di accettazione e profondità. Soprattutto, parlo almeno a titolo strettamente personale, è un percorso molto ma molto doloroso. Pieno di momenti duri, di momenti di sconforto. Ma se si ha chiaro l’obiettivo, si va avanti. Non sai mai dove e come arriverai, non si sa se un domani risolverò qualcosa. È il viaggio stesso, non il traguardo, la vera crescita.

Quanto è importante la memoria?

La memoria è tutto, di vissuti, di emozioni. È la chiave con cui noi ci confrontiamo per fare esperienze nuove. È ciò che ci fa restare spesso in contatto con noi stessi. Basta che non ci rimaniamo invischiati nel rimanere ancorati al passato. Questo diventa errore.

Spesso ci diciamo e ci dicono: “hai tutto” eppure c’è sempre quel qualcosa che è mancante, perché?

Come dicevamo all’inizio è quella sensazione che spesso abbiamo quando ci siamo riempiti la vita di cose, ma che spesso non sono esattamente quelle di cui avevamo bisogno. La domanda che viene da farsi: è questo veramente il mio percorso di vita? Posso invece cambiare qualcosa? Dove? Posso stare meglio? Da lì provare a capire quali sono i nostri freni. I famosi freni inibitori della nostra vita, le cose che ci bloccano, che ci impediscono spesso di entrare nella fase del cambiamento. Noi stessi siamo i primi “giudici” di noi stessi. Siamo proprio noi stessi che ci impediamo a volte di essere felici. Perché appunto, a volte la felicità o serenità è davanti a noi, o nelle piccole cose. Molto, molto spesso non le vediamo! Ci impediamo di stare bene. Il sentirsi nutrito non è altro che dare valore alle cose che ci fanno stare bene, che spesso sono piccole e semplici, che abbiamo magari davanti o semplicemente fare scelte non facili, ma che ci possono dare una svolta interiore. Questo appaga. Questo serve. Il contatto con i veri bisogni di noi stessi.

Andrete in tour?

Speriamo. Siamo in contatto per date fuori.

Progetti 2023?

Ad aprile torna in scena lo spettacolo cui sono legatissimo, chiamato “7 Sogni”. Una storia underground della periferia romana, che considero forse uno dei miei testi migliori.

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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