C’è chi nasce in un mondo fatto di ombre, dove la verità non si dice e il sangue si lava col sangue. Un mondo in cui la legge non è scritta nei codici dello Stato, ma sussurrata tra i muri di casa, tra riti di potere e silenzi imposti. In quel mondo è nata Lea Garofalo, a Petilia Policastro, in Calabria, il 4 aprile 1974. Era figlia della ‘ndrangheta, cresciuta in una famiglia dove la mafia non era una scelta, ma un destino.
Aveva solo nove mesi quando suo padre venne ucciso in una faida. Restò con la madre, la sorella, il fratello Floriano e una nonna che le ripeteva che l’onore si difende con la vendetta. Ma qualcosa in Lea era diverso. Fin da piccola, dentro di lei cresceva un dubbio, una rabbia, una luce diversa. Non voleva diventare come loro. Voleva respirare. Voleva vivere.
A quattordici anni si innamora di Carlo Cosco, un ragazzo più grande, già legato ai clan calabresi. Un amore che presto diventa gabbia. Si trasferiscono a Milano, dove nasce la loro figlia, Denise. Ma la Milano che sognava non è libertà: è solo un’altra prigione, un’altra piazza di spaccio, un’altra scena di violenza. Carlo è violento, arrogante, e Lea inizia a capire che non è solo il compagno sbagliato: è l’uomo che incarna tutto ciò che lei vuole cancellare dalla sua vita.
Nel 1997, Carlo viene arrestato per traffico di droga. Lea trova il coraggio e lo lascia. Glielo dice in faccia, in carcere. La sua risposta è una minaccia: “Ti troverò. Dovunque andrai.” Da quel giorno, per Lea e Denise inizia una fuga senza fine. Si nascondono, cambiano città, identità. Vivono nella paura, con la costante sensazione di essere braccate.
Nel 2002 qualcuno incendia l’auto di Lea. È un messaggio. Forse dai Cosco, forse da suo fratello Floriano, che non le perdona di aver disonorato la famiglia. Allora Lea prende la decisione che cambierà tutto: va dai carabinieri e denuncia tutto. Parla delle faide, dei traffici, dei clan. Diventa testimone di giustizia. Entra nel programma di protezione con Denise. Una nuova vita. Ma non una vita facile.
È sola. Isolata. Senza soldi, senza amici, senza speranze. Lo Stato che avrebbe dovuto proteggerla le toglie tutto, persino il nome. Quando nel 2005 Floriano viene ucciso, le indagini non portano a nulla. E nel 2008, incredibilmente, lo Stato revoca la protezione a Lea, sostenendo che non sia più in pericolo. Ma la mafia non dimentica. E non perdona.
Disperata, Lea incontra Don Luigi Ciotti, presidente di Libera. Gli racconta la sua storia. Grazie a lui e all’avvocata Enza Rando, il caso viene riaperto. Lea e Denise rientrano nel programma di protezione. Si trasferiscono a Campobasso. Ma la fatica è troppa. I soldi mancano, la solitudine è pesante. Lea decide di uscire dal programma. Vuole solo una vita normale. E forse, ingenuamente, crede che tutto sia finito.
Cosco però non ha dimenticato. Finge pace. Finge amore paterno per Denise. Organizza un incontro. Il 24 novembre 2009, a Milano, Lea sparisce. Viene portata in un appartamento, picchiata, strangolata. Il suo corpo sciolto nell’acido. Una fine orribile, pensata per cancellarla dal mondo, per annientare il suo coraggio.
Ma non ci riescono. Denise non ci crede. Va dai carabinieri. Racconta tutto. Collabora. E diventa testimone contro suo padre. Una figlia contro un assassino. Una ragazza contro un clan. Il processo rischia di saltare per cavilli burocratici, ma la mobilitazione civile – guidata da Libera – tiene viva l’attenzione. Il 30 marzo 2012, arriva la sentenza: ergastolo per Carlo Cosco e i suoi complici.
Il processo continua. Le verità emergono. Le confessioni arrivano. Denise ascolta tutto. Cade. Si rialza. Testimonia. Va avanti. Oggi vive sotto protezione, ma il suo nome è simbolo di resistenza, come quello di sua madre.
Lea Garofalo è diventata il simbolo di chi non si piega.
È morta da sola, ma non è rimasta sola. Oggi il suo nome è inciso su una targa a via Montello, nel quartiere dove abitava. Un giardino porta il suo nome. Una panchina rossa a piazza Prealpi ricorda la sua lotta. Milano le ha dato funerali pubblici e l’Ambrogino d’Oro a sua figlia.
Lea non era una magistrata. Non era una poliziotta. Non era un’eroina da copertina. Era solo una donna che ha avuto il coraggio di dire no. Di rompere il silenzio. Di scegliere la verità. E per questo è diventata molto più che una vittima: è diventata un esempio.
Perché a volte, per cambiare le cose, basta una sola voce che abbia il coraggio di parlare.