Nonostante siano passati 18 anni dalla terribile strage di Erba dell’11 dicembre 2006, il caso continua a far discutere e a sollevare dubbi. Anche se recentemente la Corte d’Appello di Brescia ha respinto la richiesta di revisione del processo presentata dai legali di Olindo Romano e Rosa Bazzi, i due coniugi condannati all’ergastolo per il massacro, molti ritengono che la verità su quanto accaduto quella sera non sia ancora emersa completamente.
La strage, che sconvolse l’opinione pubblica per la sua efferatezza, vide l’uccisione di quattro persone: Raffaella Castagna, suo figlio Youssef Marzouk di soli 2 anni, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. Il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, sopravvisse miracolosamente all’aggressione e divenne il principale testimone dell’accusa contro i coniugi Romano.
Olindo e Rosa confessarono inizialmente i delitti, per poi ritrattare sostenendo di essere stati indotti a confessare falsamente. Nonostante ciò, furono condannati in via definitiva sulla base di tre elementi principali: la testimonianza di Frigerio, la confessione (poi ritrattata) e una macchia di sangue trovata sul battitacco dell’auto di Olindo.
Negli anni successivi alla condanna definitiva, tuttavia, sono emerse diverse criticità e zone d’ombra che hanno alimentato dubbi sulla colpevolezza dei Romano. Numerosi esperti, giornalisti e persino ex magistrati hanno sollevato perplessità sulla ricostruzione ufficiale dei fatti, ipotizzando scenari alternativi e possibili errori nelle indagini.
Tra i punti più controversi vi sono:
- L’attendibilità della testimonianza di Mario Frigerio, unico sopravvissuto, che inizialmente descrisse l’aggressore come un uomo di carnagione olivastra, per poi identificare Olindo Romano in un secondo momento.
- La dinamica dell’aggressione, che secondo alcuni esperti sarebbe incompatibile con l’azione di due soli assalitori, soprattutto considerando le caratteristiche fisiche dei Romano.
- Il movente del delitto, ritenuto da molti troppo debole per giustificare una strage di tali proporzioni.
- La presunta mancanza di prove forensi solide sulla scena del crimine che colleghino direttamente i Romano ai delitti.
- Le modalità con cui furono ottenute le confessioni dei due imputati, poi ritrattate.
Nonostante la recente decisione della Corte d’Appello di Brescia di non riaprire il caso, il dibattito pubblico e mediatico sulla strage di Erba rimane acceso. Diversi programmi televisivi e inchieste giornalistiche continuano a occuparsi della vicenda, esplorando teorie alternative e cercando di far luce sui punti oscuri della storia.
L’interesse per il caso è alimentato anche dalla convinzione, da parte di molti, che vi siano stati errori giudiziari o che non tutte le piste investigative siano state adeguatamente esplorate. In particolare, alcuni sostengono che la pista della criminalità organizzata o del regolamento di conti legato al mondo dello spaccio di droga non sia stata sufficientemente approfondita.
La decisione di non riaprire il processo, pur rappresentando una battuta d’arresto per chi sperava in una revisione del caso, non ha spento le voci di chi continua a chiedere verità e giustizia. I difensori di Olindo e Rosa hanno annunciato che continueranno a lottare per dimostrare l’innocenza dei loro assistiti, cercando nuove prove e sfruttando ogni possibile via legale. Gli stessi hanno presentano il ricorso in Cassazione contro lo stop alla revisione.
Nel frattempo, la strage di Erba rimane una ferita aperta nella coscienza collettiva, un caso che continua a suscitare interrogativi e a dividere l’opinione pubblica. La complessità della vicenda, le sue implicazioni emotive e sociali, e la persistenza di dubbi e zone d’ombra fanno sì che, nonostante le sentenze definitive, il caso non possa considerarsi completamente chiuso nel sentire comune.
La ricerca della verità, al di là delle aule di tribunale, prosegue nel dibattito pubblico, nei media e nelle coscienze di chi ritiene che su quella terribile notte dell’11 dicembre 2006 ci sia ancora molto da scoprire e da dire. La strage di Erba, dunque, resta un capitolo non del tutto concluso della cronaca nera italiana, un enigma che continua a sfidare la nostra comprensione e a sollecitare la ricerca di risposte definitive.