“Creare è vivere due volte (Albert Camus)” infatti, “la creatività richiede coraggio (Henri Matisse)” di essere semplicemente sé stessi di là dai confini della razionalità. La persona, accolta tra le braccia della fantasia e della creatività, riesce ad armonizzare e dare forma al suo destino, tanto da far emergere l’algoritmo fondante la sua intelligenza. Ben sappiamo che “l’intelligenza non è la conoscenza, ma l’immaginazione (Albert Einstein)”. Claudio Lei ha in sé quella carezza delicata e al tempo stesso densa di significati che nascono della fantasia che si avvolge nella curiosità dando vita a un armonico arpeggio di “virtute e canoscenza (Dante Alighieri)”. “Ciò che si vede dipende da come si guarda. Poiché l’osservare non è solo un ricevere, uno svelare, ma al tempo stesso un atto creativo (Søren Kierkegaard)”. Claudio sembra un osservatore attento, uno scrutatore sensibile, un viaggiatore curioso tra le ali della fantasia dove incontra la sua libertà. Scrivere per lui è essere, viceversa essere è quel battito inafferrabile del guizzo creativo che ti dona sollievo e sospiro. È uscito il suo romanzo “Sapresti uccidere?”, il primo di una trilogia che incanterà il lettore. “Il lettore – dice Lei – è messo al centro di tutto il romanzo, non solo nella domanda del titolo, ma in ogni passaggio narrativo. La trama è raccontata in prima persona dai tre protagonisti: l’ispettore, la p.m. e l’assassino. Quello che succede ai personaggi capita in tempo reale, il lettore lo legge mentre avviene, lo vive in un certo senso”. Una lettura 3D che porta il lettore direttamente all’interno della scena facendolo diventare un corpo unico con l’andare della narrazione. Senza dubbio la sua opera incuriosisce e attrae, il consiglio è quello di non perdersi questo primo volume della trilogia che inchioderà il lettore alla narrazione. Claudio Lei si racconta con partecipazione e intimità.
Salve Claudio, raccontaci qualcosa di te, siamo curiosi?
Milan Kundera diceva che ci presentiamo per quello che facciamo, nella fattispecie che lavoro svolgiamo, anziché per chi siamo e quali sono le nostre passioni; pertanto, proverò a seguire il suggerimento di uno scrittore. Credo di essere un “fanta-dipendente”, nel senso che per me, nella vita, la fantasia assolve un ruolo fondamentale. La mia l’ho sempre assecondata, fin dall’età infantile con i proverbiali amici invisibili, per poi innamorarmi dei giochi di ruolo, della cinematografia e della letteratura. Piccole porte che possiamo spalancare su mondi alternativi, creati da altre persone, in cui possiamo sognare, innamorarci e, molto spesso, imparare da errori che sarebbe meglio evitare nella vita. Il lavoro che svolgo è quello di trader, ovvero un operatore di borsa che investe capitali propri, poi gestisco insieme a mia sorella la società di famiglia.
Come arriva la scrittura nella tua vita?
La scrittura arriva nelle notti insonni, quando rimuginavo su quelle esperienze personali difficili da elaborare e, ancor di più, da accettare. È iniziata come valvola di sfogo delle delusioni, delle paure, ma soprattutto per non perdere i frutti dell’immaginazione. I primi tentativi erano poesie, per passare ai racconti brevi e, infine, mi sono cimentato nei romanzi.
Gli individui oggi sono “quasi umani”?
Be’, se è un riferimento al mio primo romanzo, in cui c’erano persone disposte a tutto per plasmare il mondo a loro immagine e somiglianza, infischiandosene delle conseguenze che sarebbero ricadute sulle altre persone, allora devo dire che spero di no, ma temo maggiormente di sì ogni giorno che passa. Mi sembra che ci stiamo spingendo verso una società ammalata di individualismo, in cui la cura di noi stessi trasfigura negli inquietanti connotati del fanatismo. Ed è un po’ paradossale, visto che la tecnologia moltiplicherebbe le opportunità di fraternizzare con il prossimo, se avessimo la saggezza di coglierle al meglio.
Se tu dovessi dare un nome a “le tre lune” quale sceglieresti?
Credo che sceglierei il nome Balia, perché è stato il mio genitore letterario. Le Tre Lune, il concorso trimestrale organizzato dal sito NASF (Nuovi Autori Science Fiction), ha rappresentato la prima e la più importante esperienza vissuta come scrittore. Fu il primo concorso a cui partecipai, per fortuna venni scartato, perché mi insegnò una lezione fondamentale per chi vuole scrivere: le critiche possono essere il miglior viatico alla crescita professionale di un autore, se avrà l’umiltà di anteporre il suo impegno letterario al suo ego.
Sei anche sceneggiatore per il web, cosa significa? E che cosa fai?
Significa immaginare e poi scrivere le puntate di una serie che verrà trasmessa su Youtube, anziché dai canali di intrattenimento, quindi per prima cosa bisogna tenere conto dei pochi mezzi a disposizione. Niente effetti speciali, attori appassionati nonostante siano del tutto improvvisati, nonché ambientazioni limitate agli ambienti di cui si dispone. È una gran bella sfida! L’ho trovata molto più difficile della letteratura, ma insieme al cast di SocialPizza (il nome della serie comica) mi sono divertito tantissimo a realizzare gli episodi, ogni sessione di riprese era un appuntamento tra amici per giocare ai cineasti. Spero abbia fatto ridere gli spettatori… be’, intendo anche con noi e non solo di noi.
E adesso arriva il primo lavoro di una trilogia: “Sapresti uccidere?”, come nasce l’idea della trilogia?
L’idea ha messo radici durante una discussione al bar, in chat o in qualunque altro contesto in cui qualcuno sfogava frustrazioni riconducibili a delusioni politiche, nell’accezione più ampia del termine. In quelle situazioni, prima o poi, volano parole grosse. Di quelle che innescano la competizione al discutibile titolo di “Spaccone del gruppo”. Allora mi sono chiesto: quanto siamo consapevoli delle conseguenze quando diamo voce agli istinti più deplorevoli? Chi si lamenta della politica e dei suoi esponenti è davvero tanto migliore? Noi siamo migliori? Allora mi è venuto in mente un romanzo in cui non fossero sempre e solo i governanti a essere analizzati, criticati e infine messi alla sbarra. Volevo rappresentare quello che viene definito “voto di pancia”, tanto caro ai consumati venditori di fumo, pronti a manipolarlo appena fiutano il malcontento generalizzato. Spesso, però, non viene guidato con responsabilità, perché è più facile manipolarlo proponendo soluzioni discutibili a problemi complessi. Ho immaginato un serial killer, le cui vittime non fossero inermi cittadini, piuttosto gli appartenenti alla cosiddetta “casta” che in molti identificano come i propri oppressori. Un Giustiziere, per riassumere, che invece di spaventare raccoglie il plauso di una comunità esasperata. In un simile contesto, la risposta della politica sarebbe unanime o qualcuno proverebbe ad approfittarsene?
Perché un titolo così intenso?
Perché è provocatorio. Chiedo direttamente a coloro che immaginano soluzioni sommarie per risolvere problemi radicati da tempo come vivrebbero in un mondo tanto barbarico. Il lettore è messo al centro di tutto il romanzo, non solo nella domanda del titolo, ma in ogni passaggio narrativo. La trama è raccontata in prima persona dai tre protagonisti: l’ispettore, la p.m. e l’assassino. Quello che succede ai personaggi capita in tempo reale, il lettore lo legge mentre avviene, lo vive in un certo senso.
Chi sa uccidere e perché?
Non sono un sociologo, non ho l’arroganza di saper dare una risposta esauriente, ho cercato di farmene una leggendo i saggi degli esperti in materia. Vittorino Andreoli, uno dei criminologi più eminenti d’Italia, sostiene che per uccidere o uccidersi bisogna essere in rapporto con la morte. Ecco, forse è questa una possibile risposta: quando si alimenta la megalomania fino a considerare la vita altrui disponibile, anziché un diritto inalienabile.
La trilogia ha già un nome?
Sì, “L’assassino che non disturba”.
Gli altri due romanzi sono in cantiere oppure già pronti?
Sì, l’intero ciclo narrativo è completo, ovviamente andrà riveduto e corretto volume per volume, ma la storia l’ho concepita e scritta dall’inizio alla fine.
I tuoi romanzi per quale pubblico sono pensati?
Per tutti, credo. L’odio sta diventando una piaga sociale sempre più pericolosa, a volte ne siamo vittime, a volte ne siamo agenti, pertanto suppongo sia un argomento talmente d’attualità da poter interessare chiunque.
In quale categoria rientrano i tuoi lavori: Giallo, Thriller, Fantascienza, Fantasy, Romanzo storico, Rosa, Avventura o Horror?
Direi: Giallo/Thriller/Poliziesco.
Quanto è importante in questo mondo così inafferrabile scrivere romanzi e soprattutto pubblicarli ancora in cartaceo?
Ammiro il tocco frusciante della carta, il pungente retrogusto della colla, le piccole maestrie dei rilegatori. Come la maggior parte dei lettori, immagino. Detto questo non mi ritengo un fanatico del cartaceo, è la forma più tradizionale del libro e una delle più antiche della parola scritta, pertanto merita il nostro rispetto. La civiltà che abbiamo costruito è stata edificata sulla cultura. La cultura è fatta di idee e le idee, per la loro stessa natura, sono l’inafferrabilità per antonomasia. Credo che l’importante sia continuare a scrivere libri e diffonderli, siano essi cartacei o eBook, perché è una delle forme più immediata di condivisione di idee e cultura, è una relazione intellettuale stabilita tra due sconosciuti per il semplice fatto che entrambi pensano e provano emozioni.
Per te che cos’è la scrittura?
Per me la scrittura è l’opportunità di condividere emozioni con il prossimo, credo sia anche la mia ambizione più grande, il pensiero che un mio lettore abbia provato gioia, paura, speranza e delusione per le vicende dei miei personaggi, sarebbe la mia soddisfazione più grande
Come si coniuga una laurea in economia e finanza con la creatività della scrittura?
Non saprei, ma mi piacerebbe molto scoprirlo, perché temo di non essere laureato né in economia, né in finanza. Io sono diplomato in ragioneria informatica, per poi frequentare ingegneria informatica, purtroppo ho interrotto il mio percorso formativo un passo prima della laurea. Posso parlarti di come convivano formazioni scientifiche e amministrative con un’attività prettamente umanistica come la letteratura. Inutile ammettere che ho dovuto colmare alcune lacune tecniche, che avrei appreso studiando materie classicamente culturali, ma una volta raggiunto questo risultato, ciò che serve per scrivere, è la vita e l’unicità dell’esperienza che ne deriva per ognuno di noi. Se mettiamo questo nella scrittura, con umiltà e sincerità, allora, citando Walt Whitman: “chi tocca un libro tocca un uomo”.
Come inizia la tua carriera di scrittore?
La mia carriera di scrittore inizia grazie alle opportunità offerte dal sito Nasf e i concorsi letterari per racconti, in particolare quello che hai citato tu: “Le tre lune”. Sono stato prima concorrente e poi curatore del concorso, è per me motivo di orgoglio poter dire che, durante la cogestione del concorso, ho creato per i concorrenti l’opportunità di essere pubblicati da un editore locale modenese, dando ai partecipanti una delle più grandi soddisfazioni concesse agli autori: il riconoscimento della pubblicazione. Successivamente devo ringraziare il mio primo agente Beniamino Soressi, che lesse un mio racconto breve, ne rimase colpito e mi rappresentò nella pubblicazione del mio primo romanzo: Quasi umani.
Di che cosa ti occupi oltre che scrivere romanzi?
Oltre agli altri impieghi lavorativi sopraelencati, amo la cinofilia. Io e la mia fidanzata Francesca siamo i felici possessori di quattro splendidi cani. Insieme pratichiamo diverse attività cinofile al Dog-City, un centro addestramento vicino Modena, tra le quali: agility, hoopers e gli sport acquatici nella piscina per cani. “Niente scalda il cuore più del naso freddo di un amico a quattro zampe”. Adoro la fotografia, l’instancabile ricerca di quel dettaglio da immortalare sulla pellicola (decenni fa) e su una memory card ai giorni nostri. Saper creare un’immagine da lasciare lo spettatore senza fiato. Pratico attività fisica ogni volta che posso, come dice il nome e il motto della palestra che frequento: il movimento è vita.
La cosa che più ti affascina e coinvolge?
Saper aiutare il prossimo. Ammiro moltissimo chi spende il proprio tempo per il benessere altrui, non credo di potermi definire tale, anche se cerco di dare il mio piccolo contributo. Sono donatore Avis, l’entusiasmo con cui danno un significato alla parola altruismo è meraviglioso, sono un esempio e un modello. I ricavati del mio primo romanzo, “Quasi umani”, li ho devoluti alla ricostruzione del teatro Varini a San Possidonio, un comune vicino a Modena, severamente colpito dal sisma del 2012.
Hai più ricci o fai più capricci?
Avendo i capelli corti e dritti come spaghetti temo che il cerchio si restringa parecchio.
Nella vita c’è sempre un colpo di scena?
Il destino è il più sorprendente dei narratori, molte delle sue storie sono verosimili perché realmente accadute, se le leggessimo e le vedessimo al cinema, forse, nemmeno ci crederemmo.
Quando ti senti davvero a tuo agio?
In tantissimi contesti differenti, sia da solo che in compagnia, Pasternak e Krakaurer hanno scritto, in forme differenti, che la vera gioia è solo quella condivisa. Lo credo anch’io, anche se aggiungerei che per portare qualcosa in un gruppo di amici, bisogna prima saperla creare in solitudine.
È più importante amare o amarsi?
Se non sappiamo amarci chiederemo a qualcuno di farlo al posto nostro e non mi sembra un buon presupposto per un rapporto sano.
Sei innamorati?
Sì, della mia fidanzata da parecchi anni. Lei è la mia prima e più importante lettrice, la sua voce ha plasmato le mie parole. Tutti i miei libri li ha letti a voce alta, è stato un contributo essenziale per capire se la prosa era fluida o no e, a proposito di amore, spesso li leggeva mentre portavamo i nostri cani a praticare agility. Questo mi fa venire in mente che è frequente sostenere che dietro un grande uomo ci sia una grande donna, penso sia profondamente errato, perché chiunque sia grande dimostra di esserlo innanzitutto, e soprattutto, quando ha un grande compagno al suo fianco, né dietro, né davanti, ma pari a lui.
Andrai in tour con il tuo romanzo?
Andrò dovunque il mio romanzo mi porti e metterò il mio impegno affinché sia il più lontano possibile.
La cosa che più ami fare?
Il problema è che ne amo così tante che, a volte, perdo più tempo a decidere cosa fare rispetto al farla.
Quello che non avresti mai voluto fare nella vita?
Non avrei mai voluto mancare di rispetto alla vita, all’incontestabile diritto di chi la possiede di deciderne il corso, non credo di averlo fatto e spero di avere la forza di non farlo mai.
I tempi corrono e adesso tu dove sei?
In questo momento? Davanti al computer. Scherzi a parte, in effetti i ritmi attuali sono asfissianti, cercano di imporci la ripetitività delle macchine invece dell’inventiva umana, forse per questo amo la lettura: è una pausa che ci prendiamo dalla frenesia.
Progetti?
Troppi, specie letterari, però, visto che niente mi spaventa più della noia, meglio così.
Sogni?
Il mio sogno sarebbe creare storie e personaggi che facciano innamorare le persone, vorrei sapere di avergli regalato intense emozioni, anche solo per il tempo necessario a distrarsi dalle incombenze quotidiane.
Ma nel cassetto cosa c’è ancora?
L’immaginazione e quella può rendere il cassetto una cabina armadio.
Sassolini nella scarpa ne abbiamo?
Eccome, per quanti me ne tolga, altri ne arrivano, quindi forse il trucco è non permettergli di monopolizzare il nostro tempo. Ognuno ha i suoi rancori accumulati, però assecondarli temo avveleni più di quanto possa curare. Bisogna cercare di combattere le battaglie giuste per evitare che la nostra vita diventi una battaglia senza fine.