In alto mare

Venerdì 17 marzo al Teatro Marconi debutterà: “In alto mare” di Slawomir Mrozek per la regia di Andrea Goracci. Nel cast troviamo: Anania Amoroso, Livio Sapio, Luca Vergoni, Andrea Meloni, Riccardo Musto. Senza dubbio un’opera che condurrà lo spettatore a riflettere su tempi significativi della vita e dell’essere nel mondo. Il testo, scritto dal drammaturgo polacco Mrozek nel 1961, a distanza di sessant’anni conserva intatta la sua feroce attualità. Dopo il debutto alla regia del giovane e talentuoso Goracci al Marconi Teatro Festival 2022, torna in scena a grande richiesta uno spettacolo acclamato dal pubblico del Marconi che vede in scena giovani e promettenti attori. La trama si snoda all’interno di una narrazione intensa e densa di significati. Tre uomini, costretti nello spazio esiguo di una zattera che li accoglie in un mare scuro e immobile, mettono in campo le caratteristiche ideologiche e le capacità dialettiche derivanti dai loro ruoli, in un dibattito costante (quasi da moderno talk show) che diviene disputa, in cui è in gioco la loro stessa vita.  Il “piccolo”, il “medio”, il “grande”, rappresentano tre classi di una società capitalista: il popolo, il potere politico, il potere economico. Gli esiti di questo scontro per assicurassi la sopravvivenza sono facilmente intuibili. I toni sono quelli della commedia nera, permeati da una comicità macabra e sorprendente. Andrea Goracci, giovane ma talentuoso regista, ci racconta questo suo lavoro conducendoci all’interno con generosità e competenza.

  

Caro Andrea, conosciamoci un po’: ci racconta di lei?

Sono un ragazzo di 24 anni la cui passione è sempre stata il teatro, fin da quando ero piccolo. Dalle scuole medie ho preso parte alla compagnia di “Chiodo Storto” con cui annualmente facevo spettacoli, ma in veste di attore. Poi, grazie anche a Marco De Riso, insegnante della compagnia, ho capito che preferivo di più stare dietro le quinte che davanti al pubblico: ho quindi iniziato ad aspirare al ruolo di regista. Finito il liceo, infatti, ho iniziato a lavorare con Claudio Boccaccini in qualità di allievo, diventando, ad oggi, un suo collaboratore.

Perché mettere in scena: “In alto mare” di Slawomir Mrozek?

“In alto mare” è un testo feroce, crudo. La necessità di metterlo in scena non nasce non solo dalla sfida personale di mettere in scena uno spettacolo, seppur breve, molto denso e scenograficamente complesso, ma anche quello di riportare alla luce uno spettacolo che, scritto nel 1961, continua a conservare ancora oggi la sua attualità.

Chi sono i suoi compagni di viaggio?

Gli attori Luca Vergoni, Livio Sapio, Anania Amoroso, Andrea Meloni e Riccardo Musto. La costumista Lucia Cipollini. La scena è di Antonella Rebecchini e Mattia Lampasona per la realizzazione della zattera.

Come ha scelto il suo cast?

La scelta del cast ha previsto la ricerca di persone professionali e appassionate tra quelle che nel corso degli anni ho avuto la fortuna di incontrare. E difatti ognuno dei membri ha apportato il proprio miglior contributo allo spettacolo fino a sentirlo come un lavoro a tutti gli effetti collettivo.

Ha un Maestro a cui si ispira?

Le storie e gli aneddoti dei grandi del teatro e del cinema sono sempre per me fonte di ispirazione e ammirazione. Ma ciò che mi motiva è vedere intorno a me tutti quelli che sono veri professionisti di questo mestiere e il senso di sacrificio che molto spesso quest’ultimo comporta. Il mio “padre artistico” è senz’altro Claudio Boccaccini ed è sicuramente suo il “verdetto finale”, e quello che per me conta di più, sul mio lavoro.

“In alto mare” di che cosa parla?

Tre naufraghi e una zattera in mezzo al mare. Esaurite le provviste, si ritrovano a dover scegliere chi mangiare di loro tre per poter sopravvivere.

Siamo tutti in una zattera di rottami legati insieme da funi lise e sdrucite, qual è l’insegnamento?

Di morale in questo spettacolo ce n’è poca: quello che abbiamo davanti è una vignetta, anche satirica, che, purtroppo, si avvicina pericolosamente alla realtà – oggigiorno più di quanto avrebbe potuto quando è stata scritta.

Che cosa rappresentano il “piccolo”, il “medio”, il “grande”?

I personaggi si chiamano, da testo, “grosso”, “medio” e “piccolo”, non per caratterizzazione fisica, ma per avere una divisione concettuale che assegna ai personaggi dei ruoli in quelle dinamiche che si presentano quando delle persone – o più in grande un popolo – si ritrovano in una situazione di limitazione di spazi o di risorse. Alla fine dello spettacolo, infatti, chi viene mangiato è proprio il “piccolo”, anche se sembra illogico, dal momento che il “grosso” sacrificandosi potrebbe risolvere ampiamente il problema. La dinamica più frequente in queste situazioni, però, è che il più prepotente vince anche sulla logica, e l’istinto di autoconservazione – o di tenersi il posto, si potrebbe dire – prevale sul bene collettivo.

La società, oggi, quanto incide nella vita di ognuno di noi?

Direi piuttosto che siamo noi ad incidere sulla società, in quanto membri di quest’ultima. Abbiamo dunque il dovere di essere consapevoli di appartenere ad una collettività.

Il testo, scritto dal drammaturgo polacco Mrozek nel 1961, a distanza di sessant’anni conserva intatta la sua feroce attualità, perché?

La drammaturgia del teatro dell’assurdo di Mrozek è una caratteristica della sua prima produzione, ma la sua propensione alla satira politica e sociale pregna le sue opere, andando quasi sempre a mettere a nudo una scomoda realtà.

Lei ha debuttato al Marconi Teatro Festival 2022, ci racconta le sue emozioni?

Sicuramente ha rappresentato per me un grandissimo traguardo, spero il primo di molti. Per quanto riguarda le emozioni provate la sera, ero entusiasta di poter mostrare la nostra messa in scena di cui sono estremamente fiero.

Che cosa si aspetta dal pubblico?

Che venga.

Progetti 2023?

Spero di poter trovare spazio e mezzi per poter mettere in scena molti altri spettacoli che ho in mente, primo tra tutti “Teppisti!” di Giuseppe Manfridi, su cui sto attualmente lavorando a livello (ancora) personale.

Vuole aggiungere altro?

Ringrazio Felice Della Corte, direttore del Teatro Marconi, per le opportunità che mi ha dato e che continua a dare non solo a me ma anche a tanti altri giovani appassionati.

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