Il silenzio di Alice – La morte che non fa rumore

Aveva solo ventitré anni. Un’età in cui la vita dovrebbe spalancarsi davanti, come una strada lunga, piena di sogni e possibilità. E invece, per Alice, il futuro si è interrotto all’improvviso, nel modo più inspiegabile e doloroso: con un messaggio. E poi, con il silenzio.

“Mercoledì ci ha scritto che aveva avuto un imprevisto e non sarebbe venuta all’allenamento”, dice la sua coach. È questo l’ultimo segnale arrivato ai suoi cari, alla sua coach, alla squadra che amava. Era mercoledì 23 aprile. Poche ore dopo, il buio.

Il giorno seguente, in un altro quartiere di Bologna, lontano da casa, lontano dal campo da softball dove aveva costruito la sua vita, Alice è stata trovata senza vita. Il suo telefono era rimasto a casa. Nessun indizio apparente. Nessuna lettera. Nessuna richiesta d’aiuto. Solo un’assenza. Improvvisa. Incomprensibile. Devastante.

Il volto dietro la maschera

Alice era una ragazza come tante, eppure unica. Indossava la maglia delle Blue Girls Pianoro da quando era adolescente. Era cresciuta in quel campo. Aveva vinto un campionato nazionale Under 18. Era diventata allenatrice per le più giovani. Seminava passione, educava alla fatica e al gioco di squadra. Era stimata, rispettata. Sorrideva.

Aveva iniziato da poco un nuovo lavoro. Qualcosa era cambiato, sì. Ma nulla, almeno all’apparenza, lasciava presagire una crisi.

E allora, che cosa è successo davvero?

La morte silenziosa

Il dramma della morte di Alice lascia dietro di sé una scia di interrogativi inquieti. Le ipotesi sono tutte sul tavolo: un gesto volontario? Una morte accidentale? Una mano esterna?

Gli inquirenti indagano. La procura tace, per ora. Ma il contesto, così frammentato e anomalo, alimenta le domande. Il cellulare lasciato a casa. L’imprevisto annunciato con calma. L’incontro mancato. E poi il corpo, ritrovato altrove.

Non è solo la morte di una ragazza. È il mistero di una vita che, nel momento stesso in cui sembrava ancora in costruzione, è svanita nel nulla.

Quando il dolore non si vede

Nella narrazione pubblica, Alice era serena. Era amata. Era parte di una squadra. Ma quanto spesso il dolore non si vede? Quante volte chi soffre lo fa in silenzio, con educazione, con discrezione, senza disturbare?

La nostra società è piena di ragazzi e ragazze che sembrano reggere tutto, ma che dentro, lentamente, si frantumano. Ragazzi che non chiedono aiuto perché temono di deludere, di pesare, di non essere abbastanza. Ragazzi che sorridono fino all’ultimo, e poi scompaiono.

È il dolore muto, quello che non urla. E che per questo ci lascia ancora più spiazzati.

La responsabilità di chi resta

Oggi tutti parlano di Alice. Ma la vera responsabilità è di chi parlerà ancora, domani. Di chi, oltre la cronaca, si chiederà cosa possiamo fare per leggere prima quei segnali invisibili. Per creare spazi reali di ascolto, dentro le scuole, nello sport, nel lavoro. Per non archiviare l’ennesima giovane vita come “tragedia inspiegabile”.

Non possiamo limitarci a commemorare. Dobbiamo imparare. E trasformare il silenzio che ha avvolto Alice in un grido collettivo: basta invisibilità. Basta solitudini travestite da forza.

Il dolore di una squadra, il lutto di una comunità

Le Blue Girls hanno rinviato la partita contro Rovigo. “Per rispetto di Alice e del nostro stato d’animo”, ha detto il presidente Ivan Lentini. Giustamente. Perché in certi momenti, non si può continuare come se nulla fosse.

Il lutto che colpisce una squadra non è solo sportivo. È esistenziale. È un vuoto che si allarga, un dolore che si moltiplica. Le compagne di Alice erano anche le sue amiche. Quelle che condividevano gli allenamenti, le risate, le stanchezze. Ora, condividono un’assenza che brucia.

Perché raccontare questa storia?

Perché la morte di Alice ci riguarda. Ci riguarda come educatori, come genitori, come cittadini.
Ci obbliga a guardarci dentro e a fare i conti con le nostre omissioni, con i nostri silenzi, con ciò che ci sfugge ogni giorno. Perché se una ragazza forte, amata, piena di talento e di responsabilità può spegnersi così, allora nessuno è davvero al sicuro. E tutti, invece, siamo chiamati ad aprire gli occhi, le orecchie, e soprattutto il cuore.

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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