Il femminicidio: una piaga sociale da estirpare

Il 25 novembre di ogni anno si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, una ricorrenza istituita dall’ONU nel 1999 per sensibilizzare l’opinione pubblica su uno dei problemi più gravi e diffusi della nostra società: la violenza di genere. Tra le sue manifestazioni più estreme vi è il femminicidio, l’uccisione di una donna in quanto donna.

Il femminicidio rappresenta l’apice di una cultura patriarcale che considera la donna come proprietà dell’uomo e oggetto su cui esercitare un controllo. Non si tratta di “raptus” o gesti isolati, ma dell’espressione più brutale di un sistema di potere e sopraffazione che affonda le sue radici in stereotipi e pregiudizi ancora troppo diffusi.

I numeri del fenomeno sono allarmanti: in Italia nel 2022 sono state uccise 125 donne, di cui 103 in ambito familiare/affettivo e 61 per mano del partner o ex partner. Nei primi 10 mesi del 2023 le vittime sono già 105. A livello globale, l’OMS stima che circa il 30% delle donne abbia subito violenze fisiche o sessuali da parte del partner nel corso della vita.

Dietro questi freddi dati ci sono storie di donne, spesso giovani madri, la cui vita è stata spezzata brutalmente. Donne che in molti casi avevano già denunciato violenze e minacce, senza ricevere un’adeguata protezione. Il femminicidio è infatti spesso l’atto finale di un crescendo di abusi psicologici, fisici ed economici che si protrae nel tempo.

Le cause di questo fenomeno sono molteplici e complesse. Alla base vi è una cultura maschilista che fatica ad accettare l’emancipazione femminile e vede la donna come subordinata all’uomo. Molti uomini non riescono ad elaborare la fine di una relazione o l’autonomia della partner, sfogando frustrazione e senso di inadeguatezza con la violenza. Influiscono anche fattori come abuso di alcol e droghe, disturbi psichici, esperienze di violenza subite nell’infanzia.

La Giornata del 25 novembre vuole essere un monito per ricordare tutte le vittime e ribadire l’urgenza di un cambiamento culturale profondo. Non basta inasprire le pene: occorre agire sulla prevenzione, l’educazione, il sostegno alle vittime. È necessario scardinare gli stereotipi di genere fin dall’infanzia, promuovendo nelle scuole programmi di educazione all’affettività e al rispetto. Fondamentale è anche potenziare i centri antiviolenza e le case rifugio, garantendo alle donne un supporto concreto per uscire da situazioni di abuso.

Sul piano normativo, l’Italia si è dotata negli ultimi anni di strumenti importanti come il Codice Rosso, che ha introdotto una corsia preferenziale per le denunce di violenza di genere. Ma c’è ancora molto da fare per garantire una tutela efficace alle vittime. Spesso le donne non denunciano per paura, vergogna o dipendenza economica dal maltrattante. Occorre quindi rafforzare le misure di protezione e sostegno, anche economico, per chi denuncia.

Cruciale è anche il ruolo dei media nel raccontare questi delitti, evitando toni sensazionalistici o giustificazionisti e fornendo informazioni utili sui centri antiviolenza. La narrazione deve concentrarsi sulle responsabilità dei carnefici, non sulle presunte “colpe” delle vittime.

Il contrasto al femminicidio richiede uno sforzo corale di istituzioni, forze dell’ordine, scuola, sanità, associazioni, media. Ma il cambiamento deve partire soprattutto dagli uomini, che devono farsi promotori di una nuova cultura del rispetto e della parità. Servono modelli maschili positivi, capaci di gestire frustrazioni e conflitti senza ricorrere alla violenza.

La Giornata del 25 novembre non deve essere solo un momento di commemorazione, ma l’occasione per rinnovare l’impegno quotidiano contro ogni forma di violenza e discriminazione di genere. Solo così potremo costruire una società davvero paritaria, in cui le donne siano libere di autodeterminarsi senza temere per la propria incolumità.

Il femminicidio non è un problema delle donne, ma dell’intera società. Fermare questa strage è una priorità non più rimandabile. Ogni donna uccisa è una sconfitta per tutti noi, un fallimento del nostro vivere civile. Non possiamo più voltarci dall’altra parte: il 25 novembre sia il giorno in cui ciascuno si assume la responsabilità di agire, nel proprio ambito, per porre fine a questa vergogna.

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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