I sogni nel settimino

La vita è una grande ribalta dove tutto può accadere. Spesso si aprono itinerari reali seppur magici che conducono in viatici nuovi e avvincenti caratterizzati dalla cifra del proprio essere persona. Teatro, cinema, regia, sceneggiature, musica, il mondo dell’arte è racchiuso all’interno di Karin Proia. Lei, con la sua delicata e incisiva presenza, regala momenti intensi al suo pubblico non solo per la sua innata capacità artistica ma anche per la magia reale con cui cuce e trama le sceneggiature delle sue pellicole. In questa intervista ci regala un racconto denso di mondo e di vita.

Cara Karin, tu sei attrice, sceneggiatrice e regista dove ti riconosci di più?

Sono un insieme di mestieri che mi rappresentano tutti.

Come ti conosce il grande pubblico?

Sicuramente come attrice.

E il mondo della sceneggiatura come si coniuga in tutto questo?

Sin da bambina amavo scrivere, riempivo interi quaderni di storie.

E poi?

Ho frequentato una scuola d’arte e mi sono specializzata in arti visive. Poi sono passata alla recitazione; recitare esceneggiare sono arti nelle quali mi rivedo e mi ritrovo ma il mio lato artistico ha trovato pieno appagamento nella sua declinazione come regista.

Se tu dovessi scegliere una sola di queste arti?

Firmerei un film come regista, naturalmente. Però se potessi scegliere davvero prima lo scriverei e troverei un ruolo adatto a me!

Un pacchetto completo nel lungometraggio?

Hai capito! Anche per risparmiare, sul set ci sono tante figure, ruoli e professioni!

Nata a Latina e poi?

A 18 anni sono scappata da casa. Mi sono detta: “si, mi piace la campagna, mi piace la natura… grazie e arrivederci, io vado a Roma”.

E a Roma cos’è accaduto?

Ho frequentato il DMS all’Università La Sapienza. All’epoca era alla facoltà di lettere con indirizzo spettacolo.

Perché non una scuola di recitazione, a Roma ce ne sono tante?

Volevo entrare al Centro sperimentale di cinematografia, però era già uscito il bando,  quindi avrei dovuto aspettare altri due anni prima di provare. Avrei scelto il corso di regia. Per non dover attendere a vuoto nel frattempo mi iscrissi sia al DMS sia a un seminario di recitazione per capire quali fossero le necessità degli attori.

Quindi?

Mi sono detta: “i registi bravi sanno dirigere bene gli attori”. Come avrei potuto dirigere un attore se non conoscevo le sue esigenze?” quindi decisi di sperimentare in prima persona.

E poi?

Mi presero per uno spettacolo teatrale. Cercavano una ragazza mora, con i capelli lunghi, che ballasse il boogie woogie ecantasse… io cantavo, suonavo il pianoforte, sapevo ballare perché fin da piccola frequentavo con mia madre e miopadre le balere. Avevo imparato a ballare il liscio, il valzer e appunto il boogie woogie; sembrava proprio che cercassero me. Andando per gioco a fare il provino mi scelsero. Così iniziai a fare la scuola direttamente sul campo.

Cosa vuoi dire?

All’epoca si facevano mesi e mesi di prove prima di andare in scena. Dopo tre mesi di intenso lavoro c’è stato il debutto al teatro greco di Taormina di fronte a 4mila persone.

Che opera teatrale era?

“Uno sguardo dal ponte” di Arthur Miller per la regia di Teodoro Cassano con Michele Placido protagonista.

Tu che ruolo avevi?

Ero Catherine, la giovane protagonista femminile.

La musica che posto occupa nella tua vita?

Un posto importante. Sono sempre stata attratta da quest’arte, la considero un po’ come il primo amore.

Come nasce l’amore per la musica?

Da bambina andando a casa di un’amichetta scoprii la pianola, rimasi affascinata dalla possibilità di poter generare suoni così facilmente, schiacciando i tasti. Tornata a casa convinsi i miei genitori a farmi prendere lezioni di musica, volevo imparare a suonare. All’epoca avevamo un vicino di casa musicista molto virtuoso, un grande maestro non solo bravo ma anche divertente. L’ho sempre considerato un genio. Fu il mio insegnante di musica. Per fare il primo esame al conservatorio da privatista dovetti aspettare di superare gli esami di terza media anche se in realtà ero pronta da un po’.

Attrice si nasce o si diventa?

Entrambe! Se ci nasci hai sicuramente quel quid in più, però anche la formazione fa la sua parte. C’è anche chi è veramente negato, un po’ come lo stonato che tenta di cantare, ma da piccoli siamo tutti degli attori. Nei primi giochi che fanno i bambini c’è il recitare: “facciamo che io ero… e tu eri…?” si immedesimano in un ruolo creando la loro commedia ad hoc. Insomma, da bambini siamo tutti attori, poi crescendo qualcuno si perde per strada e forse è pure un bene.

L’arte, per te, che cos’è?

L’arte è la fuga dal mondo reale, soprattutto quando non ci piace. È una valvola di sfogo, la possibilità di esprimersi in una lingua che chiunque può comprendere, interpretandola a modo suo, ognuno con il proprio gusto personale, con il proprio vissuto, col suo mondo interiore, con le proprie esperienze e le propie attese.

Nel 2016 hai diretto il tuo primo film, hai avuto come protagonisti due grandi attori come Claudia Cardinale e Philippe Leroy, perché questa scelta?

Quando ho scritto la sceneggiatura sinceramente non pensavo a loro, non osavo sperarci. Avevo l’immagine di questi due fratelli anziani, molto affascinanti, densi di cose da raccontare al di là della parola. Poi una volta messa in piedi la produzione, essendo sempre stata innamorata di Claudia Cardinale, naturalmente ho pensato a lei. Il suo primo piano nel film di Sergio Leone è stato il mio primo colpo di fulmine al cinema. Però avevo bisogno di qualcuno che interpretasse suo fratello, avendo la Cardinale un accento francese ho cercato tra gli attori francesi e ho subito optato per il meraviglioso Philippe Leroy.

Tant’è?

Che ho proposto a entrambi il copione, tutti e due hanno accettato con grande slancio! Sono stata felicissima.

L’emozione del tuo primo ciak da regista?

Ero presa dalla responsabilità di avere i bambini in scena in una ripresa in notturna. I bambini erano stanchi per cui ero preoccupata per loro e non c’è stata l’emozione che uno si aspetterebbe. Prima di questo film già avevo girato un cortometraggio come regista… nemmeno di quello ricordo grande emozione, non saprei dirti se non: “è sempre stato quello che volevo fare”. Avendo frequentato molto i set, avendo girato anche molte serie televisive che mi hanno tenuta occupata mesi se non anni, diaciamo che veder battere un ciack la considero una cosa piuttosto naturale.

Hai un’icona cui ti ispiri sia come regista sia come attrice?

Ogni attore così come ogni regista ha le sue peculiarità. È difficile vedersi associata a qualcuno, spesso ne amo proprio le diversità, poiché da ognuno puoi apprendere e imparare qualcosa. Non mi sono mai ispirata a nessuno in particolare quindi, pur adorando registi come Tim Burton, Guillermo Del Toro, Alejandro González Iñárritu e attori e attrici come Elio Germano, Helena Bonham Carter e moltissimi altri. Ultimamente mi sono appassionata agli artisti messicani, registi e illustratori.

Che tipo di genere ti piace?

Il realismo magico.

Cosa cattura, vuole, si aspetta la Karin spettatrice quando guarda un film, una serie tv?

Qualcosa che la stupisca. Siamo un po’ stanchi delle solite storie, dei soliti ruoli. Allo spettatore biosgnerebbe offrire anche la novità sia nelle trame che nei personaggi sia nel modo di raccontarle. Basta vedere che tipo di successo hanno avuto delle serie completamente distanti dalla nostra realtà come quelle coreane, ad esempio. In Italia c’è la tendenza a ripetere le cose che hanno funzionato, così abbiamo spesso le stesse tipologie di prodotto, film e serie molto simili tra di loro.

Un cliché che ritorna?

Si, invece la sperimentazione è bella. Il mezzo televisivo e cinematografico permette di fare cose incredibili. Oggi si gira con mezzi più leggeri e abbiamo la possibilità di realizzare con poco effetti speciali di tutti i tipi, per cui ritengo sia il momento migliore per dare spazio al nuovo. È vero che non c’è la garanzia che il film funzionerà, ma la garanzia non ce l’hai nemmeno ripetendoti, quindi tanto vale fare qualcosa di diverso.

C’è qualcosa che non avresti mai voluto fare nella vita?

No! Il contrario: c’è qualcosa che avrei dovuto fare!

Cosa vuoi dire?

Spesso mi dico: “mannaggia perché ho rifiutato quella proposta, o quell’altra?”. Ci sono lavori che ho rifiutato, per i quali mi sto ancora mangiando i gomiti. Vabbè! Mi è sempre piaciuto essere corteggiata per cui se fossi stata molto corteggiata per un lavoro, alla fine avrei deciso di farlo, ma non sempre si riceve quel tipo di approccio. Ho bisogno di sentire che mi vogliono, che ci tengono a me, questo mi rassicura.

Invece?

Quando la proposta non mi convinceva fino in fondo alla fine rifiutavo. Così ho preso almeno tre cantonate belle grosse. Mi sarei dovuta buttare, invece…

Progetti?

Stiamo doppiando Boris4 che presto uscirà su Disney+. Sto scrivendo una serie, se riusciremo a mettere insieme la produzione sarà divertente. È un lavoro molto articolato, di quelli nuovi che ti dicevo, impregnato naturalmente di realismo magico. Poi ci sono altre cose che si muovono ma fino a quando non sono diventate concrete preferisco non parlarne.

Da grande che cosa farai?

Non sto mai ferma e mi vengono sempre in mente cose nuove. Ho mille idee, probabilmente troppe. Non voglio dedicarmi ad una cosa soltanto, ne ho così tante che mi piacerebbe fare. Più che il famoso sogno nel cassetto direi che ho parecchi sogni nella cassettiera… tutti ben risposti nel settimino!

 

 

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