Guardo il mondo con lenti colorate

Selene Gandini ha iniziato a studiare in teatro all’età di dieci anni, giovanissima ma talentuosa creatura che ha catturato l’attenzione della sua maestra delle elementari. Nel momento in cui ha scelto il teatro come mestiere per la vita, ha intrapreso parallelamente una ricerca costante sull’insegnamento rivolto ai bambini e agli adolescenti, in Italia e in Francia. Ha avuto la fortuna di avere un maestro come Giorgio Albertazzi, incontrato sul palcoscenico per il suo dodicesimo compleanno. Un incontro che segna ulteriormente la sua vita di giovanissima talentuosa attrice. La sua costante ricerca unita all’amore per il teatro, la regia, la scrittura l’ha portata lungo un itinerario avvincente e denso di successi. Martedì 29 novembre debutta a Roma al Teatro Ghione con lo spettacolo: “Una maschera politically correct”. Il testo e la realizzazione della messa in scena pongono l’attenzione sulla relazione, il conflitto, l’ascolto, il confronto ed è per questo che sono stati scelti i giovanissimi attori provenienti dal laboratorio teatrale della sua scuola di recitazione (alcuni divenuti ormai professionisti), affinché il loro talento parlasse ai propri coetanei. In “Una maschera politically correct” ci troviamo in una società del futuro o semplicemente una società immaginaria (Società 5.0), le cui città sono suddivise in quartieri specifici al gruppo di appartenenza (quartiere dei new age, quartiere dei complottisti, quartiere degli influencers, quartiere dei vegani ecc.). Una società amplificata rispetto ai meccanismi e le regole che ci circondano (il mondo del politically correct, i social, la tecnologia e le interazioni virtuali, il potere, la paura di relazionarsi, di amare ed essere amati). I personaggi della storia non hanno nomi ma si presentano agli altri per il lavoro che fanno o per il quartiere di provenienza. Si ritrovano in uno spazio, una sorta di sala d’attesa, invitati ad intraprendere un viaggio senza conoscerne la meta. Indossano delle maschere neutre, imposte dalla società in cui vivono e attraverso quest’ultime guardano gli altri, indagando sul corpo e la gestualità, prima di accedere ad un universo di parole. Qualcuno deciderà di togliersi la maschera, rivelando la propria vita all’interno della società 5.0, qualcun altro avrà paura di quello che può succedere e continuerà ad indossarla. Una voce che viene da fuori interrompe di tanto in tanto la loro attesa, provocandoli e svelando pian piano la verità su quel viaggio che potranno decidere di intraprendere. Selene Gandini si racconta e ci racconta la sua incredibile carriera.

Cara Selene, come mia abitudine chiedo sempre: chi sei, cosa fai e perché lo fai?

Sono una persona che sogna e che cerca di accogliere la realtà con il sorriso. A volte, è difficilissimo, a volte, si riesce e si è felici. In generale provo a guardare il mondo con lenti colorate. Faccio teatro sia come attrice sia come regista, scrivo drammaturgie e adattamenti (alcuni romanzi e racconti prima o poi li farò uscire allo scoperto). Insegno teatro e in generale comunicazione verbale ed extra-verbale, orgogliosa e felice dei risultati ottenuti negli anni con i miei allievi che ancora oggi mi chiamano o mi rendono partecipe dei loro traguardi e la loro riconoscenza è il più bel regalo. Faccio tutto questo perché fa parte di me, perché amo nuove strade e avventure ma il mondo del teatro, della scrittura e dell’insegnamento sono voci che prendono spazio dentro di me e di cui non posso fare meno.

E poi mi chiedo e ti domando: com’è il lavoro in teatro sopra e fuori dal palco?

Fuori dal palco non lo si è mai … anzi! La regia non la sento come qualcosa di distaccato ma come una presenza invisibile che guida l’attore cercando di portarlo a esprimere e creare quello che lui desidera. Il regista accompagna e rimane spettatore alla fine ma l’emozione è la stessa perché è come se racchiudesse tutte le palpitazioni dei suoi attori.

Hai iniziato a soli dieci anni a studiare in teatro, perché?

La mia maestra delle elementari, dopo avermi visto a ricreazione che creavo scene con i miei compagni, scrivevo piccoli copioni e li dirigevo, avendo sentito di una scuola di teatro per bambini (la prima in Italia: “la Quinta Praticabile” di Genova) la consigliò a mia madre, per me fu un gioco … forse non ho mai scelto che si trasformasse in lavoro …. è accaduto e io non mi sono tirata indietro ma chissà cosa avrei fatto senza quel gioco iniziale … chissà!

Speciale e non ordinario come si collocano nella tua vita?

Speciale al primo posto perché penso a una persona, un luogo, un momento.  Non ordinario non lo uso mai come termine ma se dovessi pensarci direi che l’ordinarietà non la frequento.

Quando hai deciso che il tuo mestiere era fare teatro?

Come ho detto sopra ancora oggi ci penso e non riesco a ricordarmi il momento esatto in cui ho preso questa decisione … è accaduto per una serie di eventi e circostanze e non ho detto di no perché mi rendeva felice e le esperienze che ho vissuto fin da subito sono state immense.

Dopo questa scelta cosa hai fatto?

Non essendo stata una scelta non ho fatto una cosa piuttosto che un’altra ma ho voluto conoscere diverse strade che potessero aiutarmi a comprendere la mia natura di attrice prima di ogni altra cosa. Mi sono trasferita a Parigi per tre anni e ho esplorato e studiato il teatro francese e della clownnerie. Non ho fatto uno stabile in Italia ma con gli insegnanti avuti da piccola qui (Albertazzi, Proclemer, Toccafondi, Foà ecc …) e con lo studio francese mi sento arricchita di innumerevoli e importantissimi insegnamenti.

Perché insegnare ai bambini e agli adolescenti?

Perché per me la condivisione è alla base del teatro e i bambini e gli adolescenti sono un mondo speciale di cui bisogna prendersi cura …. e l’arte e la cultura sono fondamentali. Inoltre, con il teatro si creano strumenti per permettere ai più piccoli di esprimere sè stessi e le proprie emozioni indipendentemente dal diventare attori.  L’insegnamento forse ce l’ho nel sangue ….  mia madre, mia zia, le due nonne … tutte insegnanti. Ormai per me credo sia una missione, dopo 20 anni di didattica. Per questo ho creato una sorta di mio metodo, chiamandolo “L’isola che c’è”. Un metodo come percorso sviluppato negli anni e che spero di pubblicare al più presto, per condividere la mia esperienza  con chi vorrebbe iniziare adesso a insegnare teatro. Non basta essere bravi attori o bravi registi per farlo, bisogna essere dei bravi ascoltatori e molto molto altro ancora ….

Giorgio Albertazzi non solo un grande maestro?

Un punto di riferimento nella vita, nel bene e nel male perché i Maestri non sono facili, sono ingombranti e per me la sua perdita ha generato un vuoto incolmabile… Una figura che è entrata nella mia vita quando avevo 12 anni, quindi, è famiglia ma anche autorità e figura amata e odiata e molto altro ancora …

Lo spettacolo “Una maschera politically correct” di cosa parla e che cosa rappresenta per te?

Parla di una società del futuro come prosecuzione di quella odierna. Una società pervasa da regole e di giusti modi di dire e agire, ma permeata dal dolore delle distanze, dalla mancanza di libertà di espressione, una società che ha praticato il politically correct fino a renderlo strumento di oppressione.  Esistono solo etichette e maschere neutre, al fine di renderci tutti uguali e sotto controllo ma senza valorizzare le nostre meravigliose diversità e, nel rispetto dei diritti di ciascuno, i nostri meravigliosi modi differenti di pensare. Ormai non possiamo più usare certe espressioni o dire certe cose che veniamo subito additati come ingiusti o sbagliati.

Lo spettacolo rappresenta il mio modo di vedere questa società che parla con gli asterischi e che a me fa tanto arrabbiare, ma rispecchia anche il mio modo di vedere il mondo con le lenti colorate citate prima, quindi; c’è un lieto fine o almeno in parte e tanta speranza per quello che verrà.

Come fa una maschera a essere “politically correct”? Sai io sono abituata a Pirandello!

Una maschera “politically correct” è l’abito che stiamo indossando già oggi nel nostro linguaggio e nel nostro comportamento per apparire corretti nel sistema dei diritti ecc, ma nascondiamo dietro a parole fatte una povertà di giudizio e di riflessione.  Mettiamo la maschera “politically correct” perché ci fa vivere comodi, tranquilli e seguiamo il gregge. Orwell quante cose ci ha già detto con la su fattoria e i suoi animali e noi ancora a non capire.

Quanto è importante sperimentare nuovi viatici?

È il solo modo per rendere vivo il nostro mestiere ma anche il nostro camminare.

Quanto è stato impegnativo il testo e la messa in scena?

Il testo l’ho scritto tra incontri su zoom, improvvisazioni dei miei attori, confronti tra personaggi che andavo a creare man mano che il lavoro prendeva forma. Tutto questo nasce da un lungo percorso fatto con la maschera neutra seguendo il metodo di Lecoq che mi ha portato durante la fine del lockdown a elaborare con i ragazzi un diverso modo di comunicare. La mascherina si è trasformata in maschera neutra e da lì nuovi mondi e nuove realtà.

Chi sono i personaggi di “Una maschera politically correct”?

C’è la tuttologa, la complottista, la meditativa, la poliamorosa, la vegana-esistenzialista e poi la ricca, il povero, il supereroe e altri rappresentanti di gruppi sociali (perfino chi si crede una barbie). Tutti vivono nel proprio quartiere e si incontrano di rado con gli altri, giusto per celebrare insieme la festa del quartiere del mese.  Nello spettacolo si incontrano in una sala d’attesa dopo essere stati invitati ad intraprendere un viaggio … ma dove li porterà?

Cosa ti aspetti dal pubblico?

Alcuni non approveranno, altri si emozioneranno. Il finale è a sorpresa, quindi, potranno esserci delle reazioni diverse …. come per ogni spettacolo mi aspetto dei si e dei no.

In teatro ti rivolgi ai boomer oppure alla GenZ?

A tutti.

Andrai in tour?

La compagnia è formata da minorenni dal talento esplosivo ma è difficile muoversi.  Mi sto però adoperando perché questo possa accadere.

Progetti?

Riprenderò a Genova il mio ultimo lavoro “Una camelia per due” che è stato appena fatto a Mantova dopo il debutto a Roma l’anno scorso, a marzo sarò in scena con un altro mio testo tragico-comico “Ambarabà kikí & kokò”. Con la mia associazione culturale Kinesisart ho iniziato una bellissima collaborazione con Augusto Fornari, quindi, sicuramente accadranno cose belle.

Vuoi aggiungere altro?

Grazie sinceramente delle domande fatte che mi hanno aiutato a prendere un momento per riflettere su quello che sto portando avanti.

 

 

 

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