C’è un teatro che non si limita a rappresentare, ma che scuote, attraversa, risveglia. Un teatro che nasce da storie vere, da confini attraversati, da mani tese, da comunità che scelgono di restare umane. “FATE I TUONI” è tutto questo: un racconto scenico potente, poetico, necessario.
Abbiamo incontrato Marco Zordan, regista e interprete di questo spettacolo nato dal romanzo di Michele D’Ignazio e diventato parola viva grazie alla collaborazione con Antonia Fama e la Compagnia Walden. Una narrazione che attraversa il Mediterraneo, le generazioni, le coscienze, per ricordarci che il teatro può ancora parlare di accoglienza, di migrazione, di speranza — senza cadere nella retorica.
In questa intervista, Marco Zordan ci accompagna dentro il cuore pulsante dello spettacolo: ci racconta le sfide dell’adattamento, i simboli che abitano la scena, le emozioni che hanno attraversato il suo lavoro. Un dialogo autentico su ciò che resta, ciò che parte, e su quel “pezzo di legno” che porta con sé una storia più grande, da ascoltare con la pancia e con il cuore.
Marco, cosa ti ha colpito del romanzo di Michele D’Ignazio al punto da volerlo portare in scena?
Del Romanzo mi hanno colpito la purezza dei protagonisti e la forza del messaggio che vuole trasmettere
Qual è stata la sfida più grande nell’adattare una storia così evocativa e simbolica per il teatro?
Cercare l’essenza delle cose e non la pura rappresentazione di essa, qualcosa che agisse non solo sul palco ma anche in chi sta in platea
Come si è svolto il lavoro di adattamento drammaturgico insieme ad Antonia Fama e all’autore stesso? Prima Michele ha scritto ciò che riteneva essenziale del suo libro e poi siamo andati a cercarne la teatralità, le parti più rappresentabili del testo
Nel cuore dello spettacolo ci sono due giovani che guardano lo stesso mare da prospettive opposte. Che significato assume per te questo “confine” tra partire e restare?
Il Confine è quello della necessità, per uno di salvare la sua famiglia, per l’altra di salvare la propria comunità Cosa ti ha emozionato di più nella storia vera che ha ispirato lo spettacolo, legata allo sbarco della nave Ararat e al borgo di Badolato?
Molto spesso gli slanci di tanti si esauriscono schiacciati tra il cinismo, la paura e l’indifferenza…mentre a Badolato no…w questo è un miracolo.
Il titolo FATE I TUONI è potente e poetico. Che significato assume nel linguaggio scenico?
La ricerca di seminare bellezza e generare un cambiamento.
Cosa rappresenta quel “pezzo di legno” che attraversa il Mediterraneo nella narrazione? È un simbolo?
Da lì parte tutta la storia…ogni oggetto ha una storia..alcuni hanno una storia semplice, altri più profonda, alcuni ne hanno una potentissima.
C’è un passaggio molto toccante nel testo: “Nella pancia del pescecane, nella pancia di mia madre…”. Che rapporto c’è tra il linguaggio poetico e la realtà brutale che si racconta?
Lo stesso rapporto che c’è tra gli uomini e la realtà, una tensione continua tra speranze e delusioni.
Com’è stato per te vivere sia la regia che la scena come attore insieme ad Antonia Fama?
Una grossa responsabilità perchè tradurre in immagini quello che è scritto in maniera poetica non è mai semplice, ma c’è stato anche il desiderio di mettersi in gioco.
Qual è il dialogo più denso o il momento più emotivamente forte per te durante lo spettacolo?
Il momento in cui gli anziani del paese decidono di donare le chiavi ai rifugiati.
Quali elementi scenici o visivi hai scelto per evocare il viaggio, il mare, l’infanzia e la memoria?
Ho pensato a racco tare più che altro…per lasciare amspazio alla poesia del testo.
Che tipo di riflessione vorresti lasciare al pubblico dopo aver visto “FATE I TUONI”?
Di essere artefici del destino della propria comunità, di riprendersi la partecipazione.
Come pensi che oggi il teatro possa ancora parlare di accoglienza, migrazioni e speranza senza cadere nella retorica?
Questa è una trappola che abbiamo sentito di dover evitare…e per questo abbiamo concentrato lo spettacolo sugli esseri umani e non sui processi sociali…altrimenti il rischio è dietro l’angolo.
Hai già in mente un prossimo progetto con la Compagnia Walden che segue questa linea narrativa?
Vorremmo intanto provare a portare questo spettacolo in più luoghi possibili anche non teatrali e poi ci dedicheremo ad altro
“FATE I TUONI” non è solo uno spettacolo. È un atto di resistenza gentile, un invito a riscoprire l’umano che ci abita e che troppo spesso dimentichiamo. Le parole di Marco Zordan ci restituiscono il valore del teatro come spazio di trasformazione, dove la poesia si intreccia con la realtà e dove anche un semplice oggetto — un pezzo di legno, una chiave, uno sguardo — può farsi simbolo di rinascita, di possibilità, di futuro.
In un tempo che tende a dimenticare, “FATE I TUONI” ci ricorda che esistono ancora luoghi — reali e interiori — dove accogliere è un gesto rivoluzionario, dove restare è un atto di amore, e dove raccontare significa generare coscienza.
Perché, in fondo, il teatro non è che questo: un tuono che rompe il silenzio dell’indifferenza per far nascere nuove domande. E forse, nuovi inizi.