Si apre la stagione teatrale 2022/23 di Teatrosophia, dopo un periodo intenso segnato dalla pandemia. La nascita nella rinascita che vedrà come opera prima di apertura lo spettacolo di: Giuseppe Manfridi. L’opera portata in scena s’intitola “La particina”, è un’assoluta novità, scritta ed interpretata da Giuseppe Manfridi, ben consociamo il suo talento, non solo di attore ma anche di autore oltre che di scrittore. La trama si snoda nel racconto ironico e al tempo stesso incisivo di una curiosa guida turistica che introduce un gruppo di visitatori (il pubblico) alla scoperta di un raro esemplare di tinca dopo aver spiegato al suo auditorio cosa si intenda in gergo teatrale con questa parola: una parte piccola e rognosa, di poca soddisfazione. Sin da subito la curiosità stimola lo spettatore che unita al senso ironico e alla profonda intensità narrativa lo condurranno in un territorio particolare come d’altronde farà la tinca in questione che si muoverà in un mondo composto di libri e di strani segni fantascientifici. In un suo “altrove” insomma. È proprio in quell’altrove che il discorso si dipana in un viatico particolare che condurrà a toccare come la pennellata di un pittore la storia d’amore di Romeo e Giulietta. E poi l’opera prende vita e avvolge lo spettatore all’interno di un abbraccio unico tanto da renderlo protagonista. Giuseppe Manfridi si racconta e ci racconta la sua vita, la sua professione e questo suo ultimo lavoro che lo emoziona poiché tra i tanti compagni di viaggio ce n’è uno in particolare: suo figlio!
Caro Giuseppe, raccontaci di te?
Sono ramano e romanista, nato nell’anno celebrato da una canzone di Miguel Bosè: il 1956. Fino ai miei quarant’anni posso dire di aver vissuto una vita per il teatro. Infatti, a parte alcune incursioni nel mondo del cinema firmando una decina di sceneggiature (tra le quali mi fa piacere ricordare quella di “Ultrà”, Orso d’argento al Festival di Berlino nel 1991, per la regia di Ricky Tognazzi), non mi sono dedicato ad altro che alla scrittura e alla messa in scena della mia drammaturgia. In seguito, ha cominciato a prendere sempre più spazio la narrativa e anche la saggistica, in particolare con un libro a cui do molta importanza: Anatomia del colpo di scena. Ultimamente sono usciti tre romanzi “Anja la segretaria di Dostoevskij” (Premio Dostoevskij 2020), “Il profeta e la diva” e “L’uomo di vetro”. Dopo un periodo di alcuni anni, passato a Parigi con la mia prima moglie, dal 1993 sono rientrato a Roma. Da un secondo matrimonio sono nati i miei due figli: Lorenzo e Gabriele. Da allora non ho più cambiato città, ma molte case sì. Infine, sto in quella dove vivo da quasi dieci anni. Lo giudico quasi un record.
Sei in scena con “La particina” scritto e interpretato da te, di cosa parla?
Esattamente di quello che annuncia il titolo. Di una particina teatrale incarnata da un suo esemplare massimo. Mi riferisco a un minuscolo ruolo quasi disperso nella trama di “Romeo e Giulietta”, ma che, con poche battute, finisce con l’avere un peso decisivo nello svolgimento del dramma. Tuttavia, a meno di non essere dei grandi esperti in materia, a citarne il nome chiunque, sentendolo, domanderebbe: “Chi è?”. Nome che qui non faccio: sarebbe un piccolo spoiler. Per palare più direttamente dello spettacolo in sé, gli spettatori verranno accolti come turisti in visita, convenuti in loco perché venga mostrata loro una creatura quasi esotica, presa a rappresentante di tutta una categoria; io invece mi vestirò dei panni della guida incaricata di far sì che la “particina” in questione (assai irascibile, e a tratti quasi rancorosa proprio in ragione del poco peso che le è stato dato) non si dimostri troppo ritrosa, andando oltre le poche cose che dice e che fa nell’arco dei cinque atti shakespeariani. Si potrà, così, intuire che la suddetta particina ha un suo segreto; la speranza è che ce lo riveli. Il testo nell’insieme risulta decisamente divertente.
Perché, come da sottotitolo, “Il vero protagonista di Romeo e Giulietta”?
Risposta che mi impone una certa reticenza, se non proprio un atteggiamento omertoso. Rivelassi questo perché, anticiperei parte del plot che mi auguro, invece, possa risultare avvincente per gli spettatori. Mettiamola così: la mia particina, nonostante si insinui nella trama di “Romeo e Giulietta” con un suo nome ben preciso che però ben pochi focalizzano, è creatura tenera e addirittura presumibilmente spensierata, ma questo suo aspetto, nel testo originale, è destinato a non farcelo capire chiaramente, anzi: per nulla, visto che all’autore la sua fugacissima presenza serve non tanto per definire un personaggio, quanto per far procedere l’intreccio. Di qui la frustrazione della povera particina che perlomeno nel nostro spettacolo è resa protagonista, sia pure quasi a sua insaputa. E anche a proposito di questo “quasi” è bene che io non aggiunga altro.
Qual è il ruolo che interpreti?
Già detto, quello di una guida a servizio di un gruppo di turisti. La mia presunta competenza in fatto di particine dovrebbe consentirmi di stabilire con quella che al momento mi è dato presentare ai gitanti in visita (ossia, agli spettatori) un colloquio dai caratteri quasi terapeutici e al contempo investigativi, in modo che la mia interlocutrice non sia indotta al silenzio ma venga stanata e ci metta al corrente di una natura che, scopriremo, la collega al vastissimo mondo di tutte le particine possibili. Che tali possono essere tanto nel teatro, quanto nella vita.
Quanto è importante viaggiare e conoscere?
Conoscere è quanto facciamo costantemente, anche a nostra insaputa. Non c’è minuto della vita di chiunque che non si carichi di una certa dose di esperienza, e dunque di un possibile apprendimento. Quanto al viaggiare, ho viaggiato molto sino a una certa età. Al pari dei libri (che amo più rileggere che leggere), gran parte dei miei viaggi sono ormai soprattutto dei ritorni. Per natura, mi affeziono a ciò che prediligo, e tendo a trasformare le predilezioni in abitudini. Prediligo l’Irlanda, ad esempio. Per me significa tante cose. Ci sono andato spesso da solo, ma l’ultima volta, tre anni fa, con uno dei miei figli, ed è stato uno dei miei viaggi più straordinari e “nuovi”, nonostante si trattasse di un paesaggio a me notissimo. Una volta sola, invece, sono stato a Pietroburgo, e già sogno di tornarci. Quel viaggio l’ho fatto con la mia attuale compagna, e si è rivelato fondamentale per la stesura del romanzo “Anja, la segretaria di Dostoevskij”. C’è poi da dire che anche la lettura è esperienza che apparento al viaggiare. Come quella di una giornata passata nel chiuso di una stanza vagando all’interno dei propri pensieri.
La tinca a teatro che cos’è?
Già! La “tinca” era il primo titolo del nostro spettacolo, l’ho poi cambiato proprio perché, a essere puntigliosi, la “particina” può essere considerata, teatralmente parlando, una sottospecie particolare all’interno della categoria “tinche”. Mi spiego. In realtà, la tinca, come si sa, è un pesce. Pigro. In acqua tende a ristagnare e ristagnando bascula, per lo più boccheggiando, dando così l’idea di ascoltare con fare reverenziale e subalterno cose assai interessanti, laddove per contro le sue repliche sono piatte e convenzionali. Sotto metafora, perciò, la tinca è un ruolo che può avere anche una presenza prolungata sulla scena, ma senza mai assumere spessore, mentre la particina, per essere davvero tale, sul palco non può che sostare al massimo pochi minuti appena.
Come si può gestire la tinca?
Da interprete, col massimo rispetto che si deve a tutto ciò che è contemplato dalla finzione drammaturgica, laddove, come mi piace dire e credere, anche un bicchiere, se facente parte della scenografia, “recita”. Una buona presenza scenica consente di farsi rispettare anche se costretti all’asfissia di una tinca; e, comunque, anche una tinca, se gestita senza voglia, farebbe notare, per contro, la sciatteria usata dall’attore nell’affrontarla.
Perché scegliere “Romeo e Giulietta”?
Nel nostro caso, “Romeo e Giulietta” è, per così dire, l’ecosistema letterario dove pastura la nostra particina, che, come ho già detto, giudico emblematica della sua specie. Poi, come non considerare il grande appeal di questo titolo? Oltretutto, l’opera offre una serie di risvolti spesso trascurati che, se individuati e analizzati a dovere, possono rivelarsi dei veri colpi di scena. In tal senso, il colloquio con la particina prelevata proprio dalla storia dei due infelici amanti veronesi ce ne farà scoprire parecchi.
Cosa rappresenta “Romeo e Giulietta” nell’immaginario collettivo?
Senza alcun dubbio la più nota storia d’amore che sia mai stata raccontata. In verità, io amo specificare: il più grande innamoramento che sia mai stato raccontato. L’amore, infatti, pretende conoscenza reciproca e una crescita progressiva nel tempo; l’innamoramento, invece, può essere improvviso e furente, e avvenire addirittura nell’ignoranza delle reciproche identità. Per citare Giulietta, l’innamoramento sa deflagrare come un lampo di cui non si fai un tempo a dire “Lampeggia!”.
Chi sono i compagni di viaggio in questo lavoro teatrale?
Nell’insieme, lo dico subito, formiamo un gruppo fantastico. Per primo non possono non citare Lorenzo, mio figlio, per il quale questo testo, nato in una prima versione tanti anni fa, è stato totalmente riscritto e concepito così come adesso è. Lorenzo ha portato a termine il triennio di formazione per attori presso l’Officina Pasolini di Roma e attualmente frequenta il DAMS. Ha già lavorato diretto da Maurizio Scaparro, e, al presente, mi sta regalando un’interpretazione che, da autore, mi inorgoglisce. La regia la firma Claudio Boccaccini, che, al di là dei meriti artistici oggettivi, conosce come pochi la mia scrittura, e come pochissimi la sa trattare, soprattutto mettendone in risalto l’ironia (che in una dimensione ludica non dovrebbe mai venire meno), ed esaltandone la teatralità. Le scene, vere e proprie creature spaziali, sono a firma di un’artista formidabile, Antonella Rebecchini, con la quale collaboro da tempo e che (quando sono io a dirigere un mio testo) è capace, con le sue idee, di ispirarmi anche imprevisti cambi di rotta nella messa in scena. Ci affianca nel corso delle prove l’intelligente dedizione di Sonia Remoli, capacissima di percepire il senso di una costruzione in fierifacilitandone al massimo grado l’esecuzione. Poi, al fatto teatrale in sé, va aggiunto il coinvolgimento della giovane Livia Proto, che realizzerà un corto cinematografico dal titolo, per l’appunto, “La particina”, dedicato al dietro le quinte dello spettacolo e che mostreremo, a replica finita, nel corso dell’aperitivo usualmente offerto da Teatrosophia, per generosa volontà del suo direttore artistico Guido Lomoro. Quindi, come non citare Andrea Cavazzini, efficacissimo e partecipe ufficio stampa del teatro, e dunque, nella fattispecie, nostro. Aggiungo che il testo, come peraltro tutta la mia produzione teatrale, verrà pubblicato da La Mongolfiera Editrice, e sarà a disposizione di chi vorrà acquistarlo in teatro già dalla sera del debutto.
Andrete in tour?
Non immediatamente, ma senz’altro sì. La convinzione che abbiamo circa l’efficacia di questo spettacolo ci spinge a riproporlo a partire da fine novembre. Prima replica possibile, a Viterbo, all’interno del progetto Tuscia Art Lab, organizzato da Giulia Marchetti.
Progetti autunnali?
Subito dopo le repliche de “La particina”, debutterò (ma qui in veste solo di attore) l’11 ottobre al Teatro Quirino, in ditta con Gianluca Guidi, in una commedia scritta e diretta da Michele Guardì: “Il caso Tandoj”. A seguire, lo spettacolo partirà per una tournée di un mese in Sicilia. Successivamente, dovrò occuparmi delle mie ultime creature editoriali. I romanzi “Il profeta e la diva” (Gremese editore) e “L’uomo di vetro” (La Lepre Editore). Sempre a ottobre uscirà, pubblicato da EfestoEdizioni, “Il contenuto non corrisponde al titolo”, che potrei definire il libro di una vita, essendo uno scritto a carattere aforistico ed epigrafico (quasi un personalissimo Zibaldone) che raccoglie e seleziona quasi trent’anni di scrittura di questo tipo (il libro è impreziosito da una magnifica prefazione di Claudio Strinati). Inoltre, confido nella ripresa dello spettacolo “Il silenzio in cima al mondo”, con Pamela Villoresi, regia di Giancarlo Nicoletti, che ha debuttato questa estate al Mittelfest di Cividale del Friuli, e tratto dal mio libro “Tra i legni – I voli taciturni di Dino Zoff“(Edizioni Tea). Per rimanere nell’ambito teatrale, ad aprile Vincenzo Borrelli porterà in scena a Napoli una nuova edizione della mia commedia “Ti amo, Maria!”.