Così è se vi pare: trecento pagine per mettermi a nudo

Ognuno ha dentro di sé un mondo immenso da raccontare”. È grazie a quel mondo che la persona può riconoscersi riconoscendo l’altro da sé attraverso il riconoscimento vissuto sin dal suo arrivo nel mondo della vita. Una creatura quando giunge nel mondo conosce solo la percezione corporea e l’odore della madre, ha in sé l’esperienza del mondo in utero con le sensazioni e percezioni vissute di quello spazio ristretto dove nutrimento e amore non mancano. Poi arriva la vita nel mondo, le declinazioni cambiano, le atmosfere si modificano, gli odori e le voci si sommano, gli stimoli sono tanti e il ricordo di quel mondo acquatico resta nelle proprie cellule. Adesso c’è da fare i conti con il mondo della vita e i suoi abitanti. Così l’esistenza accade partendo da quel primo momento di contatto con l’altro: la madre. Da quel momento il piccolo cucciolo d’uomo dovrà fare i conti non solo con la sua natura ma anche con le ingiunzioni dell’altro, dell’ambiente. Esperienze intense, a volte, profonde e dissonanti dal proprio essere. Allora, solo allora, il mondo si oscura, diventa amaro, si inaridisce all’interno di meccanismi di difesa che sfiniscono e portano a perdersi. La spinta alla sopravvivenza è più forte così Ciaula può davvero scoprire la sua luna e incamminarsi in un viatico nuovo, scoprendo quei sorrisi, quei sapori, quelle atmosfere che aveva negato a sé. Il viaggio di Stefano mi ha emozionata, questa intervista mi è entrata nelle viscere, ha scosso come uno tsunami le mie emozioni, mi ha aiutato a comprendere ancora di più il mondo di chi come lui vive la sua dimensione. Stefano non solo è un grande uomo, è un marito speciale e un padre difficile da trovare. Sua figlia ne è la custode e la fortunata compagna di viaggio in questa mondanità che spesso perde la sua cifra significante nel chiacchiericcio di un insignificante senso comune.  «Papà, voglio che tu sappia che anche se ti vesti da donna per me sei una persona normale, e soprattutto un papà meraviglioso», che dire di fronte a tanta saggezza? Non resta che leggere, assaporare e raccogliere come un dono prezioso il regalo che Stefano Ferri ci fa della sua esperienza di vita.

                    

Caro Stefano, sei un imprenditore di successo, hai una moglie, una figlia, sei eterosessuale, ma adori i tacchi a spillo e il tubino, perché?

Per spiegare compiutamente la ragione ho dovuto scrivere un romanzo autobiografico (Crossdresser–Stefano e Stefania, le due parti di me, Mursia Editore). Però, in linea di massima, qui posso dire che questo è il mio modo di integrare la parte maschile e quella femminile. Ciascuno di noi, psicologicamente parlando, è un po’ maschio e un po’ femmina, nessuno può vivere se non avendo raggiunto il perfetto incastro fra questi due lati della sua personalità. In genere è un incastro che si raggiunge durante l’infanzia e, in seconda battuta, nell’adolescenza, non per caso età di profonde scosse interiori. In me, che non ho vissuto l’adolescenza (spiego nel libro perché), la fusione fra il maschile e femminile si è manifestata nell’età adulta. Così.

Ma tu chi sei? E dove sei?

Io sono Stefano. Solo Stefano. Uomo, etero, padre e marito. L’esatto contraltare di una donna in giacca pantalone e mocassini. Di nessuna si pensa che sia lesbica né se ne nega la femminilità per il solo fatto che si veste così. Il pregiudizio per cui, viceversa, un uomo in gonna e tacchi negherebbe la propria virilità è dovuto a un fatto culturale, transitorio: le tuniche al ginocchio sono state parte essenziale del guardaroba maschile per millenni, nemmeno per secoli, e nel Settecento gli uomini con lignaggio nobile portavano tacchi.

5 aggettivi che parlano di te?

Umile. Coraggioso. Tenacissimo. Testardo. Ribelle.

La tua passione più grande?

Oh, ce ne sono tante. La musica dei Beatles. Le macchine di grossa cilindrata. I film d’azione, e segnatamente quelli di Stanley Kubrick e di Quentin Tarantino. I romanzi mozzafiato.

Un libro per raccontarti, perché affidare alla narrazione la tua storia?

Ciò che è viscerale è difficile da condividere se non a valle di una “full immersion” nell’animo e nella vita. Immagina di leggere lettere d’amore di gente di cui non sai nulla: non ti farebbero ridere? Lo dice anche una canzone di Vecchioni. Ho avuto bisogno di trecento pagine per mettermi a nudo, raccontare le nefandezze che ho subito (e anche quelle che ho commesso – non sono un santo) a causa del crossdressing, così che quando, nelle ultime pagine, svelo il mistero sul perché, nessuno ride più. Ho portato il lettore dalla mia parte, l’ho incoraggiato ad ascoltarmi e capirmi a fondo. Peraltro, è un esercizio che suggerirei a tutti. Ognuno ha dentro di sé un mondo immenso da raccontare.

Qual è la tua verità?

Non è “mia” ma assoluta: che siamo tutti soltanto persone. Andremmo classificati non come uomini, donne, gay, lesbiche, trans, cross, neri, gialli ecc. bensì esclusivamente come persone, accomunate dall’appartenenza alla razza umana. Le differenze di cui sopra vengono a valle e giammai possono costituire motivo di discriminazione né tantomeno di violenza.

Ognuno di noi ha in sé una parte femminile e una maschile, in te la parte femminile sembra avere la necessità di presentarsi al mondo in tutta la sua variegata declinazione?

Sì. In realtà la cosa fa notizia solo perché sono un uomo, e gli uomini hanno paura di esternare condizioni come la mia, preferiscono reprimerle, così condannandosi a una pericolosa infelicità permanente. Se una donna esibisce la sua parte maschile (e lo fanno in tantissime), nessuno dice nulla.

 

 

Cosa hai fatto per comprendere la tua natura, chi ti ha aiutato?

La psicoterapia. Ho avuto la fortuna di venire ben consigliato ed essere assegnato a una psicoterapeuta estremamente preparata, priva di pregiudizi e assai fattiva nel condurmi al fulcro della questione. Con lei ho ricostruito la mia infanzia e i processi inconsci da cui il mio carattere ha origine.

Noi viviamo in una società che crede di essere aperta ma in realtà è ancora molto bigotta. Quanto è stato difficile per te essere te stesso?

Tremendo. La paura dello stigma sociale mi ha travolto infanzia, adolescenza e giovinezza, inducendomi a rimuovere per venti interminabili anni la mia attrazione per gli abiti femminili. Avevo nove anni quando avvertii il desiderio per la prima volta. Ne avevo ventinove quando accettai di lasciarmi andare, ma nemmeno lì fu semplice, anzi! Ci misi ulteriori quattordici anni per divenire crossdresser a tempo pieno. Arrivai alla meta alla vigilia dei quarantatré. Ora sono felice, ma i decenni buttati via in abiti maschili non me li ridarà nessuno.

Quando hai deciso di indossare abiti del sesso opposto?

Non c’è una data, è stato un progressivo avvicinarmi. Quando indossai il mio primo paio di infradito di vernice non avrei mai immaginato sino a dove mi sarei spinto. Oltretutto erano da uomo (la moda della seconda metà degli anni Novanta era molto effeminata). Idem quando misi la mia prima camicia in organza, sempre da uomo. Nemmeno quando acquistai la mia prima gonna avevo le idee chiare, perché era una gonna da uomo e interpretavo il mio desiderio come la stravaganza di un dandy. Se ripenso a quei tempi, oggi sorrido e mi rendo conto di come ciò che riguarda il vestire sia soggetto a convenzioni artificiose, speciose e inutili.

Ti ricordi la prima volta che hai indossato un abito femminile?

La mia prima volta in gonna fu a dicembre 2002, a Firenze, ma era una gonna da uomo e avevo addosso solo cose maschili. Con quella gonna mi approssimai al total look femminile indossandola in altre occasioni, sino a ottobre 2003, quando, ad Amburgo, la abbinai al mio primo paio di tacchi a spillo. Viceversa, il primo abito da donna, accessoriato da donna, è del luglio 2004. Lo misi forte di questo prolungato allenamento, diciamo così, per una soirée di lavoro, una specie di festa con centinaia di persone. Mi resi conto ben presto che l’unico argomento di discussione della serata ero io. Mi ferisce ancora ricordare il voltafaccia istantaneo di tanta gente che consideravo amica.

Sei stato penalizzato per questa tua scelta?

In parte sì, in parte no.

Perché?

Sì, perché ovviamente ho subito lo stigma di una società a quell’epoca totalmente impreparata a uno come me. Dirigevo una rivista e dovetti licenziarmi. No, perché questo cambiamento mi ha aiutato a trovare la mia vera vocazione, quella del PR, e a tante aziende coraggiose e in anticipo sui tempi è parso strategico affidare le proprie relazioni a una persona che, a valle della propria competenza, risultasse indimenticabile al primo sguardo.

 

I tuoi genitori ti sono stati vicino?

Mia mamma è morta senza avermi conosciuto in abiti femminili. Mio padre invece mi sorprese. Da premettere che non ero affatto sicuro che l’avrebbe presa bene, per cui mi condannai a dieci anni di censura quando lo andavo a trovare. Indossavo sempre cose da donna ma neutre, tipo jeans e maglietta. Poi un giorno (e lo racconto nel libro) le vicende della vita mi condussero da lui senza veli, avevo troppi casini per ricordare di cambiarmi, e notai che non batté ciglio. Tempo dopo gliene chiesi conto e lui mi rispose: «Stefano, tu hai una figlia che da grande ti lascerà per condurre la sua vita adulta e inizierai a frequentarla col contagocce come a me è capitato con te. Ma credimi, se ti capitasse di vederla per dieci anni con un unico paio di jeans addosso, qualche domanda te la porresti anche tu».

Tua moglie come vive questa tua peculiarità?

Oggi la vive serenamente. Ma ha avuto bisogno di tanto tempo, dieci anni e passa, per farsene una ragione. Non posso biasimarla, perché a me per primo di tempo ne occorse tantissimo, ben più di quanto ne sia occorso a lei.

E tua figlia?

Con mia figlia il discorso è diverso. È stata abituata sin dalla nascita – e intendo proprio letteralmente dall’istante in cui è venuta al mondo – alla mia presenza come crossdresser; dunque, per lei un papà in gonna e tacchi è sempre stata la normalità. Un giorno, quando aveva sei anni e mezzo, mi fulminò con questa frase: «Papà, voglio che tu sappia che anche se ti vesti da donna per me sei una persona normale, e soprattutto un papà meraviglioso». Auguro a tutti di provare anche solo la metà di quello che provai io in quell’istante.

Con questo non voglio dire che siano state solo rose e fiori. Un momento un po’ difficile, diciamo di transizione, con Emma lo passai. Fra la terza e la quarta elementare mi chiese di non uscire mai dall’auto quando la andavo a prendere a scuola. Ci stava, e sia pure con amarezza dissi di sì, ben conscio di quanto grandi siano i rischi di bullismo. Poi… è arrivata la pandemia e il problema s’è tristemente risolto, mentre alla ripresa mi sono ritrovato una ragazza giocoforza diventata adulta, coi coetanei pure cresciuti in fretta per gli stessi motivi, e allora lì è venuta fuori la personalità vera della generazione di Emma, la generazione dei “gender free”, che fanno vincere i Maneskin ovunque sulla terra, che in uno come me non trovano nulla di strano.

“Il buio e la luce” si racchiude in queste due parole la tua scelta di essere un crossdresser?

Buio e luce sono la dicotomia in cui si dibatte la vita di tutti. Soprattutto quando di mezzo c’è non una scelta bensì la scoperta di una condizione ineludibile.

Uno dei tuoi scrittori preferiti?

Stephen King, di cui ho letto tutto. Ed è sbagliato etichettarlo come autore horror. L’horror semmai è uno dei suoi punti deboli, perché lo fa spesso eccedere in grand guignol. King è bello leggerlo, invece, perché fra tutti i viventi è colui che sa meglio tenere la penna in mano. I suoi personaggi sono uno spaccato di umanità vitale quant’altri mai.

Cosa ami fare nel tuo tempo libero?

Grandi passeggiate per Milano, la mia amatissima insostituibile città. A tacco rigorosamente zero.

Hai un hobby?

Il collezionismo. Posseggo, fra le varie cose, migliaia di film su dvd nonché la raccolta completa dei dischi dei Beatles (sia come gruppo sia come solisti).

Con il tuo profilo IG aiuti le persone che hanno la tua stessa necessità a trovare il coraggio per non nascondersi più?

Sì! IG è uno dei canali privilegiati per dare testimonianza e mostrare a quelli come me la verità, ossia che se ce l’ho fatta io possono farcela anche loro. Con tanti ci scriviamo in privato, non solo su IG ma pure su Messenger. E devo dire che funziona: negli anni sono in parecchi ad aver fatto il grande passo dopo essersi imbattuti in me.

La vita è densa di intemperie, tuttavia, l’importante non è quante volte si cade ma come ci si rialza, sei d’accordo?

Assolutamente sì. Tant’è che le persone peggiori sono quelle che non accettano di essere cadute.

Quello che non avresti mai voluto fare nella vita?

Paradossalmente è la cosa per cui ho studiato: l’ambasciatore o il console. A Scienze Politiche presi l’indirizzo politico-internazionale, che nel vecchio ordinamento era finalizzato al concorso per la carriera diplomatica. Ma, a laurea conseguita, una vocina dall’abisso mi urlò di soprassedere, e per fortuna la ascoltai. Non so proprio come me la sarei cavata a rappresentare il mio Paese in aree del mondo in cui il crossdressing è illegale.

I tempi corrono e adesso dove sei? 

Mi trovo in un momento di grande evoluzione. La promozione del libro assorbe tanto tempo, e numerose nuove proposte, sia professionali sia da “attivista”, vanno di pari passo. Sono entusiasta, perché a 55 anni posso dire di trovarmi in piena corsa sulla strada che mi sono preparato nella vita.

Un sogno nel cassetto?

Vivere dei miei libri. So di condividere questo sogno con milioni di persone, tanti siamo noi scrittori in Italia.

Ultima cosa: da grande cosa farai?

Quello che sto già facendo: il testimone (uno dei tantissimi, per fortuna) dei diritti civili.

 

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