Gravina di Puglia, una città di pietra e silenzi, dove le voci si perdono tra i vicoli stretti e le case addossate l’una all’altra come a custodire qualcosa. Un segreto. O forse più di uno.
È il 5 giugno 2006. L’aria è calda, immobile, e i bambini giocano ancora per strada come una volta. Francesco e Salvatore, Ciccio e Tore per tutti, hanno rispettivamente tredici e undici anni. Due fratelli legati da un’infanzia difficile, ma anche da quella complicità incrollabile che solo certi fratelli conoscono. Quella sera escono di casa come tante altre volte. Dicono di avere un appuntamento, di dover partecipare a un “film”. Una fantasia? Una scusa? O forse, un invito reale, da qualcuno più grande? Li vedono in centro, li vedono camminare, sorridere… e poi, più niente. Nel giro di un’ora, i due fratellini sembrano svaniti nel nulla.
Il padre li cerca. Li chiama, li sogna. Li sente ridere in qualche angolo della sua mente, ancora adesso. Ma il tempo passa, e il vuoto resta. Poi, otto mesi dopo, come un incubo che risale dal ventre della terra, la verità riemerge. In un palazzo abbandonato chiamato “la casa delle cento stanze”, al centro di Gravina, un ragazzino precipita in una cisterna. Sopravvive. E con lui, torna a galla anche l’orrore. I corpi mummificati di Ciccio e Tore vengono ritrovati sul fondo di quel pozzo nero. Erano lì dal primo giorno. Dal maledetto 5 giugno.
A pochi passi da casa. E allora la domanda diventa agghiacciante: “chi sapeva… e ha taciuto?”.
Perché qualcuno, quella sera, era con loro. Qualcuno li ha visti cadere. Qualcuno avrebbe potuto salvarli. Qualcuno, forse più di uno, ha scelto il silenzio. Questo libro non racconta solo una tragedia. Racconta la fame di verità di un padre accusato ingiustamente. Racconta un paese diviso, che sussurra nei bar ma tace davanti alla giustizia. Racconta un mistero ancora vivo, che pulsa sottoterra, sotto la pelle, negli occhi di chi guarda… e sa.Perché a Gravina, il tempo si è fermato. E il segreto… è ancora lì.
Di questo caso ne parliamo con Mauro Valentini, uno dei volti più autorevoli del True Crime italiano: giornalista, scrittore, instancabile ricercatore della verità. Con lui affronteremo la tragica scomparsa e la morte dei fratellini Ciccio e Tore a Gravina di Puglia: uno dei casi più dolorosi e controversi degli ultimi vent’anni.
Mauro, ti ringrazio per questa intervista.
Grazie a te. Sono davvero contento di poter parlare di questastoria, come puoi immaginare, il caso di Ciccio e Tore è uno di quelli che ti restano addosso, nel cuore e nella coscienza.
Riportaci a quel giorno. Cosa succede esattamente il 5 giugno 2006?
È un pomeriggio come tanti. Francesco (Ciccio) e Salvatore (Tore) Pappalardi, rispettivamente 13 e 11 anni, stanno giocando sotto casa. Intorno alle 19 escono, dicendo di avere un appuntamento. Parlavano di un film da girare. Si dirigono verso il centro storico di Gravina, una zona antica, bellissima ma anche fatiscente in alcuni punti. Alcuni testimoni dicono di averli visti, ma dopo le 20:00, più nulla. Alle 21:30 il padre, Filippo Pappalardi, si allarma. Sa che i suoi figli non rientrano mai tardi. Li cerca, va alla polizia … e qui inizia l’assurdo.
Cos’è che non ha funzionato fin dall’inizio?
Il pregiudizio. Filippo era separato dalla madre dei bambini, c’era stata una lunga battaglia legale, e i due figli vivevano con lui. La scomparsa viene subito letta come “lite familiare”. Non c’è allarme. Gli dicono di tornare il giorno dopo. Iniziano anche le omissioni. Una donna dice di averli visti con altri ragazzini. Poi ritratta. Poi di nuovo dice che era stata la figlia a riferirglielo. Insomma, già nelle prime ore si insinua un clima di silenzi e bugie.
E poi arriva l’arresto. Cosa porta la procura a incriminare Filippo Pappalardi?
Una testimonianza fragile, di un ragazzino di 14 anni. Dice di aver visto Filippo prendere i figli quella sera. Nessuna prova concreta. Nessun riscontro. Eppure, viene arrestato. L’accusa? Li avrebbe puniti perché si erano bagnati con palloncini d’acqua, uccidendo uno e poi l’altro per coprire tutto. Assurdo, ma sufficiente a farlo finire in carcere.
Poi, quasi un anno dopo, accade qualcosa di sconvolgente.
Sì. Un altro ragazzino cade in una cisterna all’interno di un edificio abbandonato noto come “la casa delle cento stanze”. È un luogo noto ai ragazzini di Gravina, dove si fanno prove di coraggio. I soccorritori lo salvano e trovano i corpi mummificati di Ciccio e Tore. Erano lì dal giorno della scomparsa. A 500 metri da casa. Non erano mai usciti da Gravina.
E qui comincia il mistero vero e proprio. Cosa successe davvero in quella casa?
Noi siamo convinti – io e il generale Garofano – che non fossero soli. Almeno altri tre o quattro ragazzini erano con loro. Forse si trattava di una prova di coraggio, forse c’è stato un gesto di bullismo. Ma quello che è certo è che dopo la caduta, nessuno ha parlato. E quando Filippo fu arrestato, nessuno – nemmeno chi sapeva – ha mosso un dito per farlo scagionare. Nemmeno con una lettera anonima. Questo è il vero dramma morale.
Mauro, cosa ti ha colpito più di tutto, da uomo prima ancora che da giornalista?
La solitudine. Filippo ha combattuto una guerra legale per avere quei figli. Li ha cresciuti. E poi si è trovato accusato del loro omicidio, abbandonato da tutti. Oggi, vive a Gravina, si sveglia ogni mattina, prende un caffè al bar… e probabilmente guarda negli occhi ogni suo concittadino chiedendosi: “Anche tu sapevi e hai taciuto?”.
Il caso è davvero chiuso?
Dal punto di vista giudiziario, purtroppo sì. Ma c’è ancora chi vuole la verità storica. Il giornalista Pecoraro de “Le Iene” sta lavorando a un’inchiesta che potrebbe riportare alla luce dettagli sepolti. Quando è arrivata la richiesta di riesumazione dei corpi, qualcuno ha cercato di manomettere la tomba. Questo ci dice quanto ancora faccia paura la verità.
“Ciccio e Tore” non è solo un libro. È una missione?
Sì. Non lo abbiamo scritto solo per ricordare due bambini. Ma per dare voce a un padre che non smetterà mai di cercare la verità. Perché quella verità – anche solo raccontata, anche solo ipotizzata – può restituire un minimo di pace. E soprattutto, può impedire che accada di nuovo.
Mauro, grazie, per le tue parole, per il tuo rigore e per la tua umanità. “Ciccio e Tore – Il mistero di Gravina” (Armando Editore) è un libro che tutti dovrebbero leggere. Non solo per conoscere i fatti, ma per capire come può spezzarsi – e forse anche salvarsi – la nostra umanità.
Grazie a te. E grazie a tutti coloro che non si voltano mai dall’altra parte.
Il tempo non guarisce ogni ferita. A volte, la ricopre soltanto di polvere, la nasconde sotto strati di quotidianità, di stagioni che passano, di nomi che cambiano sulle targhe dei negozi. Ma sotto, la ferita pulsa ancora, come una verità taciuta, come una colpa mai confessata.
A Gravina di Puglia, il mistero non è mai stato sepolto davvero. I corpi di Ciccio e Tore sono stati restituiti alla famiglia, ma non alla pace. Perché la verità completa non è mai venuta alla luce. Perché chi era presente, chi sapeva, ha scelto di non parlare. E quel silenzio, oggi, pesa come una seconda condanna.
Filippo Pappalardi, padre e uomo, ha attraversato l’inferno due volte sia come genitore che perde due figli sia uomo accusato ingiustamente, privato della libertà, della dignità, della pietà altrui. Eppure, non ha mai smesso di lottare. Perché la verità non è solo giustizia. È respiro. È sepoltura. È memoria pulita.
Nel cuore di quella casa abbandonata, ora sigillata per sempre, è rimasto il sussurro di due voci infantili. Due fratelli che forse avrebbero potuto essere salvati. Due bambini che oggi sarebbero uomini. Ma soprattutto, due anime che aspettano ancora che qualcuno, da qualche parte, trovi il coraggio di raccontare davvero ciò che accadde.
Questo libro è per loro. Perché nessun bambino dovrebbe morire nel silenzio. Perché nessun padre dovrebbe cercare la verità da solo. E perché certi segreti non possono restare sepolti per sempre.Il mistero di Gravina è ancora lì … e finché non sarà svelato, “Ciccio e Tore non potranno davvero riposare”.