Aveva diciannove anni, un sorriso limpido, gli occhi pieni di curiosità e una passione forte per l’arte e il cinema. Carlotta Celleno non era un’eroina incosciente né una spericolata. Era una ragazza come tante, studentessa dell’Istituto Rossellini di Roma, con il desiderio di raccontare il mondo attraverso immagini. Sabato 26 aprile aveva scelto, insieme a tre amiche, di esplorare l’ex Molino Agostinelli, un’enorme carcassa industriale abbandonata da vent’anni, divenuta tela per murales e rifugio per amanti della street art. Ma quello che doveva essere un pomeriggio di scoperta, si è trasformato in tragedia.
Carlotta è precipitata dal settimo piano in una feritoia scoperta. È morta sul colpo, incastrata in un silos vuoto, nel cuore di un edificio divorato dal tempo e dall’incuria. Una caduta che ha il sapore amaro della fatalità annunciata. Perché quel luogo era conosciuto. Pericoloso. Ma mai messo in sicurezza.
Una fabbrica dell’abbandono
Il Molino Agostinelli, chiuso nel 2005 dopo anni di produzione di farine, è oggi un ecomostro in via del Pescaccio, ai margini della città. Le sue pareti raccontano storie a colori, ma anche silenzi di degrado: scale arrugginite senza corrimano, voragini nei pavimenti, vetri rotti, pareti pericolanti. Nessuna protezione. Nessun cartello. Nessun cancello. Una città fantasma verticale, attraversata da chi cerca emozioni, immagini, spazi vuoti da riempire con l’obiettivo.
Carlotta e le sue amiche erano lì per questo: urbex, lo chiamano. Urban exploration. Visitare luoghi dimenticati per raccontarli attraverso l’arte. Un gesto nato come atto creativo, spesso diventato gioco pericoloso. Ma Carlotta non cercava il brivido. Cercava la bellezza nascosta.
L’indagine per omicidio colposo
La procura di Roma ha aperto un’inchiesta con l’ipotesi di omicidio colposo. Per ora contro ignoti. Un atto dovuto, ma anche necessario. Perché quella struttura era aperta a chiunque, in condizioni fatiscenti, da anni. Le autorità hanno sequestrato i telefoni della ragazza e delle amiche per ricostruire la dinamica. La pm Giulia Guccione ha disposto l’autopsia. Sul tavolo, però, c’è una domanda che non riguarda solo la morte di Carlotta, ma una responsabilità più ampia: come è possibile che un edificio così pericoloso sia ancora accessibile, senza controllo, nel 2025?
Il peso dei social, tra racconto e rischio
Sui social circolano da tempo video e fotografie dell’ex Molino. Alcuni influencer urbex hanno documentato le loro esplorazioni lì dentro, raccogliendo centinaia di migliaia di visualizzazioni. Uno di loro, “Skeggia Urbex”, quattro anni fa ha postato un video dicendo di aver rischiato la vita: “Le scale sotto i miei piedi si sono spezzate”. Oggi quel video è al centro delle polemiche. C’è chi parla di effetto emulazione, chi accusa, chi si difende. Ma resta una verità scomoda: la spettacolarizzazione del pericolo può rendere il rischio desiderabile. Anche se non è intenzionale. Anche se si mettono avvisi. Perché l’immagine arriva prima delle parole. E nei più giovani, il confine tra realtà e sfida è sottile.
Un lutto che grida giustizia
Carlotta non c’è più. Le sue amiche, sopravvissute all’esperienza, porteranno a lungo il peso di ciò che hanno vissuto. L’intera comunità è sotto shock. Ma questo dolore non può restare solo privato. Serve una risposta pubblica. Serve un’analisi collettiva. Perché se un luogo è noto per essere pericoloso, eppure continua ad attirare giovani, qualcosa si è rotto. Non nella gioventù, ma nel sistema che dovrebbe proteggerla.
Chi ha davvero ucciso Carlotta?
Non una sola persona. Non un colpevole diretto. Ma una serie di omissioni. L’assenza di recinzioni. L’indifferenza delle istituzioni. La complicità silenziosa di chi conosceva ma taceva. Una morte che poteva essere evitata. E che ora impone una riflessione: quanto valgono le vite dei nostri figli di fronte a un edificio che tutti sapevano essere una trappola?
Carlotta cercava bellezza. Ha trovato l’abisso. Ma se la sua morte servirà a evitare altre tragedie, allora, forse, la sua luce non sarà stata vana.