La compagnia Versus propone per i giorni 4/5 Aprile e 6/7 Aprile due diversi spettacoli per il Teatro Trastevere ed unirli in un unico progetto dal titolo VERSUS: FUTURO PASSATO.

Due drammaturgie lontane tra loro per stile, forma, ma che mantengono un filo conduttore su fattori sociali e culturali. Due diverse denunce sui drammi del passato e su quello che ci aspetta. Abbiamo intervistato Paolo Maria Congi.

Ulalá qual è il futuro passato?

Futuro e passato sono due concetti umani. Molto utili per quanto riguarda la concretezza, il materiale, ma anche necessari per quanto riguarda l’astratto.

La storia dell’arte in fondo è una storia parallela a quella delle guerre, delle rivoluzioni, delle tirannie  o delle conquiste sociali.

Gli artisti, quando fanno il loro lavoro, raccontano sempre il mondo nel suo istante, ma anche un’utopia o una distopia: c’è della forza centrifuga ma anche centripeta nel tempo, che qualche volta ingoia come Crono e qualche volta si fa l’indigestione e bisogna buttare fuori.

Come si fa ad andare “Versus: futuro passato”?

Apriremo queste quattro giornate al Teatro Trastevere. Due diversi progetti teatrali: il 04 e 05 Aprile apriremo con il monologo “Lu monti di la cruzi”, e chiuderemo il 06 e 07 con “Burnout!”.

Abbiamo deciso di far esordire questi due testi al Teatro Trastevere che è stata la casa di tanti dei nostri progetti. Colgo l’occasione di ringraziare la direzione del Teatro e tutti quelli che ci lavorano, dal direttore Marco Zordan fino a Vania Lai dell’ufficio stampa. Anche loro attori e professionisti di questo settore difficile. Gente di teatro, con cui parlare francamente, che gestiscono uno spazio di emancipazione per tante nuove compagnie e drammaturgie.

In che cosa consiste questo progetto teatrale?

Come ho detto sono due nuovi progetti di Versus sotto la mia cura e direzione. Li ho uniti sotto una specie di piccola rassegna da titolo “Versus: futuro passato”, legandoli da un filo conduttore sottile, ma che ai miei occhi d’autore risulta un legame forte. Sarebbe bello poter far viaggiare in un futuro questi progetti sempre insieme, ma credo che sia difficile per ovvie ragioni pratiche e di organizzazione.

Questa è l’ultima di una lunga lista di follie artistiche. Seguire insieme due spettacoli all’esordio, in un momento come questo, è davvero difficile, ma stiamo facendo un ottimo lavoro!

Perché decidere di scegliere due drammaturgie lontane tra loro per stile, forma, ma che mantengono un filo conduttore su fattori sociali e culturali?

“Lu monti di la cruzi” è testo che parla del passato, ma dentro di esso ci sono le ragioni storiche di una guerra, le motivazioni e i deliri che ci portiamo dentro, la sofferenza antica che non finisce mai.

Mariangela è una protagonista molto moderna in questo. Follia e guerra hanno la stessa madre (o lo stesso padre, fate voi).  

“Burnout!”, con tutta la sua diversità estetica, tenta di dire la stessa cosa che vuole dirci Mariangela. È come se fosse una fotografia del presente, ma che vuole darci un suggerimento sul futuro, sulla follia collettiva che ci attende.

Entrambi i protagonisti sfociano in un parossismo, una schizofrenia, una follia individuale, pur di non far parte di quella collettiva. Detta così così può sembrare triste, deprimente, ma dipende dal punto di vista. Dipende solo da quale follia si sceglie di stare.

Che cosa si deve aspettare lo spettatore?

Beh, lo spettatore che conosce i miei lavori rimarrà decisamente sorpreso. E anche chi non conosce i miei lavori vedrà qualcosa di particolare in tutti e due gli spettacoli. Sa, negli ultimi anni mi sono dedicato alla prosa, diciamo ad un approccio neorealista, sempre apprezzando la sperimentazione e il suo valore di avanguardia. Ecco, questi sono due testi di avanguardia (almeno per quanto mi riguarda). Ci sono arrivato dopo anni, come i maestri della pittura che all’inizi avevano una sorta di paura reverenziale per il colore, io adesso mi approccio a modo mio e liberamente a due drammaturgie e regie che mi ispirano. Spero solo che arrivi tutto quello che deve arrivare.

Si parte da un monologo e poi?

E poi citando i Monty Phyton “qualcosa di completamente diverso”.

“Lu monti di la Cruzi” di che cosa parla (già il titolo è tutto un programma)? 

C’è da dire che questo è il primo monologo che scrivo e di cui curo la regia. E questo mi mette una certa agitazione.

L’estate scorsa, reduce da una settimana di residenza a Rebeccu in Sardegna, su un progetto dal nome “Ischeliu” organizzato da Valeria Orani, stavo iniziando a scrivere un’antologia sarda.

Avevo questa voglia di parlare della Sardegna, di ritornare alle mie origini e mi è capitata sotto mano una sorta di breviario delle leggende di Grazia Deledda. Tra queste c’era “il tamburo del diavolo”. La storia già raccontata da Edoardo Costa del “Muto di Gallura”. Mi sono lasciato trascinare dalla voce di questa piccola donna, Mariangela Mamia, e facendo ricerche sulla vera storia – e aggiungendo del mio – ho scritto il monologo che interpreta Viola Misiti. È la storia di una ragazza che rifiuta la realtà, che si assume la colpa di una tragedia pur di negare l’evidenza. Ma c’è anche dell’altro.

Che cosa ha di speciale il mito di Gallura?

La Gallura è la terra di una parte della mia famiglia – di mia madre – e in parte ci sono cresciuto. Quindi c’è un legame stretto tra me e questa storia. Mi sono informato, letto, studiato; sono andato nel paese di Aggius (dove è ambientata la storia) per farmi coinvolgere e per poter raccontare con il mio ricordo, attraverso le parole antiche ma mai pronunciate. Mentre scrivevo ero un fiume. Ho scritto in pochissimo tempo, come posseduto, respirando e guardando la collina davanti casa di mio nonno. Ricordandomi di vecchie storie e aneddoti della mia famiglia e altro. La Sardegna è così per me. Il mito poi ha il potere di poter raccontare concetti nuovi e moderni attraverso la sua nuova interpretazione: ogni suo custode e narratore si azzarda ad aggiungere un dettaglio personale, che può dare un senso nuovo.

Chi è la protagonista?

Viola Misiti interpreta Mariangela Mamia. Mariangela è una ragazza che si trova in mezzo ad una faida shakespeariana di banditismo e morte. Al dir la verità una vera e propria guerra. Ma anche qui, le reali cause si perdono nei romanzi. La vera ragione di questa carneficina è da ricercare nell’avidità, in particolare nell’editto delle chiudende, proclamato dal re Vittorio Emanuele I nel 1820. Pur di far pagare le tasse proclamò la proprietà privata, quindi il passaggio da un sistema di condivisione all’egoismo.

Viola si è fiondata subito nel progetto appena ha letto il copione. Lo abbiamo ricorretto e via. Lo sta facendo suo. Anche lei, come me, ha origini sarde, infatti ci siamo conosciuti lì. Si fida della mia regia e segue le mie indicazioni, c’è grande armonia. Stiamo raggiungendo livelli davvero importanti in poco tempo. Questa è una cosa importantissima in un monologo. È un’ottima attrice, e vi assicuro che interpretare questo monologo è una prova clamorosa. Vi consiglio di venire a vederla, sarà sorprendente!

E poi arriva “Burnout” che ha già partecipato al bando “Germogli”, un lavoro molto particolare, ci racconta qualcosa?

Eh parlare di “Burnout!” è davvero difficile, non per aspettative che voglio creare, ma proprio trovare le parole è complicato! Questo spettacolo è davvero una follia!

Io e Danilo Brandizzi volevamo lavorare insieme, e abbiamo creato questa “cosa”. Un mostro che ha molti tentacoli e che fa ridere parecchio. Soprattutto noi che siamo sul palco. Io ho paura continuamente di ridere per quello che diciamo e facciamo. Ci siamo divertiti ad approfondire una critica sociale attraverso qualcosa che è difficile trovare a teatro. Una satira continua e senza freni. Esce fuori tutta la nostra voglia di “scherzare seriamente”.

Abbiamo portato al bando “Germogli” del teatro Trastevere un estratto che durava circa venti minuti. Il pubblico si è entusiasmato ed anche per noi è stata una ventata di freschezza farlo. Per il resto…eh! Sorpresa!

Un progetto innovativo che trascende ogni tipo di genere teatrale (Stad Up, Podcast, avanspettacolo e improvvisazione), come nasce questa scelta drammaturgica?

Come detto io e Danilo volevamo lavorare da tempo insieme. Inizialmente dovevano essere degli sketch sul lavoro. Però poi mi è venuta l’idea racchiudere questo in un altro contenitore, più colorato, folle e senza regole. A Danilo è piaciuto subito, e ci abbiamo lavorato.

Io e Danilo abbiamo molte cose in comune, una su tutte è l’ironia.  Abbiamo anche lavorato insieme su altri settori (io guidavo i furgoni e lui il magazziniere per la stessa azienda) e questo ci unisce molto. Conoscersi in situazioni così è diverso, si trova intimità ma anche professionalità di una qualità diversa. Ma abbiamo fatto tantissimi lavori entrambi, e abbiamo riportato questo e molto altro.  La frustrazione e il grottesco delle nostre esperienze rappresentate in un contenitore strano, surreale, assurdo, futuristico, o piuttosto, futuribile.

Che cosa si aspetta dal pubblico?

Adoro il pubblico. Per me il pubblico ha quasi sempre ragione. Certo si corre il rischio riassunto da Umberto Eco con la boutade “Mangiate merda! Miliardi di mosche non possono sbagliare!”. Ma per me il pubblico va rispettato, alfine è il mio datore di lavoro.

Chi sono i suoi compagni di viaggio?

Versus è un progetto aperto e accogliente, ogni progetto ha una sua natura precisa ed individuale. Attori e performer che seguono un lavoro, una storia. Si procede, per ora, a compartimenti stagni per via delle molte produzioni e il susseguirsi di un flusso di idee ininterrotto. Oltre i tantissimi impegni che abbiamo. Quello che accomuna tutti i progetti è una critica sociale. Non abbiamo uno stile, dipende dallo spettacolo. Vogliamo ogni volta sorprendere con nuovi contenuti e nuovi modi di raccontare. Ci piacerebbe avere più persone in organico per organizzarci meglio, e nel tempo ci riusciremo.

Progetti?

Tanti. Per il teatro non mi fermerò mai di scrivere e mettere in scena. Forse qualcosa per il cinema, un mio chiodo fisso, e addirittura altri formati ancor più sperimentali. Mancano solo i finanziamenti.

Sogni?

I finanziamenti?

Desideri?

La cessazione immediata dei conflitti. E forse vedere un capo di stato o un ministro che dichiara una guerra e ci va da solo a combattere. Così, tanto per. Abbiamo perso il senso delle misure e delle parole. Strano a dirsi ma perdendo questo si perde anche il senso della vita.

Sassolini nella scarpa ne abbiamo?

Mmm…nel il sistema culturale italiano è davvero pericoloso parlare. Molte volte devi stare zitto per non inimicarti questo o quello. Ma ci provo…

Per una compagnia professionale come la nostra basterebbe un piccolo aiuto per poter mantenere alto un livello professionale per realizzare tutto; poter diventare impresa produttiva e raggiungere certi livelli.

Non si mette più nulla in discussione, soprattutto il sistema. E se per metterlo in discussione si parla dell’assenza di sperimentazione sbagliamo.

Le scelte sono sbagliate, le strategie lo sono, gli stili non hanno colpa. Ho visto più spettacoli sperimentali insulsi e reazionari nei grandi teatri, piuttosto che spettacoli di nuove drammaturgie di ragazzi che tentano di raccontare le difficoltà del mondo che li circonda.

Basterebbe poco per aiutare le piccole realtà. Così poco. Ma è sempre una questione di avidità e di potere. Di controllo. Mi dispiace un po’. Sono amareggiato. Irritato. Non lo nascondo, qualche volta incazzato.

In tutto questo Versus è un progetto teatrale con le spalle larghe e pieno di cicatrici. Un gigante anoressico che prova a sollevarsi nell’apocalisse culturale. No. Non è facile. Ma siamo bravi e raggiungiamo sempre ottimi livelli con pochi mezzi.

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