Sembro un vulcano ma sono metodica

Si ama per un sorriso, per uno sguardo, per una spalla. Tanto basta. Allora, nelle lunghe ore di speranza o di tristezza, ci si fabbrica una persona, si compone un carattere. E quando, più tardi, si frequenta la persona amata, è impossibile ormai (per quanto crudele sia la realtà che ci vien messa innanzi) togliere quel carattere buono, quella natura di donna amorevole all’essere che ha quello sguardo o quella spalla, proprio come non possiamo, quando invecchia, togliere il suo primo volto a una persona che conosciamo fin dalla sua giovinezza (M. Proust)”.

    

L’amore è ciò che fa girare il mondo, è linfa vitale che si annida nell’anima e crea quelle atmosfere uniche e assolute che si declinano nell’accadere in relazione a sé, all’altro, al mondo. Roberta Calandra è ancora in libreria con un nuovo romanzo: “Le orchidee” edito da Porto Seguro. Un romanzo avvolgente, intimo, amicale, relazionale, intenso, denso di vita e di mondo, dove la clessidra del tempo scandisce attimi, passioni, incontri, smarrimenti, separazioni, consapevolezze e voglia di trovare ancora una volta un viatico che sia possibilità.

Come quelli che si mettono in viaggio per vedere con i loro occhi una città desiderata e immaginano si possa godere, in una realtà, le delizie della fantasia (M. Proust)”. Roberta, si sa, è un’autrice che regala l’intensità della sua anima cucita nelle parole che si armonizzano nelle sue opere, uniche, perfette. Non si può che disporci attenti nella lettura dei suoi lavori affinché il senso e significato diventi riflessione e carezza, incontro e vita, possibilità e speranza. Nel nostro dialogare è emerso il cuore di questo suo nuovo lavoro che non può non essere letto, assaporato, incontrato nelle pagine raffinate della sua penna.

Cara Roberta, sei un vulcano di idee. Un altro libro in libreria, raccontaci qualcosa.

In realtà sto vivendo un periodo fortunato dove raccolgo anni di semina, sembro un vulcano, ma sono fondamentalmente metodica e continuativa nella pratica della scrittura, in mezzo a lunghe stagnazioni; questa trilogia nasce cinque anni fa, è stata una vera odissea anche realizzativa, felicemente approdata alla casa editrice Porto Seguro, scelta per il rispetto dello stile personale, in primis. Ringrazio Federica Bruno per il maternage apposito.

Perché il titolo: “Le Orchidee”?

C’è un esplicito richiamo a la “Recherche”, alle sue Cattleyas come metafora sessuale. È un’opera dove ho cercato di parlare molto anche di sesso, argomento delicato, che rischia sempre il morboso o la rimozione, ma che costituisce uno dei motori delle nostre vite, che viene banalizzato in ogni dove, perdendo la sua connessione con il sentire. Ma Orchidee è anche una metafora per la comunità gay, che conosco bene, fatta di fiori colorati e affascinanti, che lasciano respirare le radici in aria, senza mai affondarle veramente nella terra, che faticano più di altri a fondare relazioni resistenti ma, quando lo fanno, sanno farlo con una autenticità preziosa.

La storia d’amore di due donne, perfetta per il nostro tempo?

Sarebbe bello che l’amore tout court diventasse perfetto per il nostro tempo, so di dire una banalità ma è la forza di cui si sente più bisogno. Le storie d’amore di Orchidee sono tante e declinate in altrettante sfumature, c’è quella di una “amicizia passionale e platonica” tra i due protagonisti e poi le loro coppie, che costruiscono e decostruiscono spinti da forze irresistibili e difficili da nominare. Il progetto nasce dal desiderio di descrivere queste spinte, nelle loro pieghe più ineffabili, in tutti loro l’amore è la radiografia di una ricerca identitaria, che nelle persone omosessuali è forse più libera da schemi precostituiti, e insieme più complessa proprio per l’esilità dei margini di abitudine, di riconoscimento sociale. Ho provato a muovermi in uno spazio che da un lato esplora un ambiente preciso, dall’altro ne emancipa i soggetti in mille sfumature.

Quanto è difficile avere un progetto di coppia e un rapporto stabile nel nostro tempo così inafferrabile?

Tanto, ma si può fare. Credo che la stabilità di un amore sia un miracolo, che ha però molto a che fare con la capacità di scegliere, basata su una profonda conoscenza di sé stessi e di visione dell’altro, dell’altra. Bauman che definisce il nostro tempo “liquido” ha vissuto un matrimonio solidissimo, e questa è una facoltà trasversale, etero come omosessuale, una necessità dell’anima che può farsi carne e vita concreta in un equilibrio personalissimo tra passione e lucidità.

Diana si chiede: se è mai stata davvero innamorata dell’altra, perché questa riflessione?

In tutto il romanzo i protagonisti si chiedono come far coincidere le emozioni con le scelte, è qualcosa che mi tocca sempre profondamente. La dicotomia tra amore e passione è un topos onnicomprensivo e onnipresente in letteratura, tornando a Proust ho voluto approfondire l’illusione d’amore, esorcizzando anche tante vibrazioni personali. Spesso è proprio il tempo a chiarirci le ragioni di smarginature apparenti, incontri mancati, quotidiani stantii, fini indesiderate.

Quanti “e se” ci sono nella vita?

Credo che siano molti, per tutti, se si ha il coraggio di guardarli in volto e insieme la leggerezza di non annegarvi dentro. La vita dà sempre le risposte, anche se spesso con asincronie dolorose, Proust parlava di “intermittenze del cuore” che in molti snodi del racconto ho cercato di incarnare in quegli sbalzi percettivi che conosciamo tutti, anche molto semplici del tipo: “ma come ho fatto a soffrire così tanto per lui, per lei?”. I sentimenti sono qualcosa di molto serio che troppo spesso siamo costretti a bypassare per stare dietro alle esigenze pressanti del concreto, ma è un’illusione pensare di non darsi risposte convincenti, dove l’emozione e la scelta trovano conciliazione. La polvere sotto il tappeto a un certo punto crea inevitabilmente reazioni allergiche e credo che cullare rimpianti e amarezze sia pericoloso, meglio scorticarsi un po’ e capire come vivere il presente quanto più felicemente si riesce.

Il tradimento è smarrimento, dolore, arresto e poi?

Credo ci sia una risposta diversa per ogni tradimento, ci sono formule di coppia che lo includono forse proprio per evitare quel dolore, o per crearsi una garanzia paradossale di stabilità che funziona anche, esistono nature più o meno fedeli, ma poi io ad esempio che lo sarei con grande naturalezza, ho colliso con altre nature, con grandi ambivalenze. Sicuramente anche il poi può portare ad approfondimenti di maturità come a separazioni scomode, a me pare che sia comunque un sintomo, un indicatore, può essere qualcosa di momentaneo e superficiale, come anche l’espressione di una distruttività pericolosa. Cosa è davvero un tradimento? Quelli più dolorosi che ho subito erano rivolti a cancellare la bellezza di un riconoscimento autentico, ma breve.

Passato, presente e futuro si intersecano nella narrazione della cifra esistenziale come è possibile comprenderlo, elaborarlo e andare oltre?

Un altro grande tema del testo è la memoria, la colonna portante della ricerca proustiana, ho cercato di indagare proprio quelle intersezioni, nelle quali ripassiamo un vissuto, un irrisolto per rinominarlo e andare oltre. Personalmente mi è sembrato di morire di dolore tante volte per poi capire a posteriori che avevo idealizzato quell’incontro, che la vita mi costringeva ad andare più in profondità, in sincerità nel cercare un’aderenza a me stessa alla quale stavo in parte rinunciando. Scrivere è stata sempre la via maestra per me per risistemare questi snodi.

Poi c’è Tommaso, chi è, cosa fa, perché arriva?

È un amico quasi gemellare di Diana, il racconto è simmetrico, le loro vite cariche di sincronicità, anche lui riassume dei contenuti che conosco bene, è un immunologo dedito alla ricerca sull’aids, che ha esorcizzato tanto dolore passato, tanta negazione prima in un’attività sessuale compulsiva, poi in una famiglia stabile, per poi cadere ancora in mille domande nuove.

Cosa hanno in comune Tommaso e Diana?

Sono omosessuali, si vogliono bene, cercano continuamente un senso alle voci che premono da dentro, sono ambiziosi esistenzialmente, hanno umorismo, cuore, coscienza, sensibilità, seppure organizzate con modalità diverse, come due mezze mele. Sono comunque profondamente maschio e femmina.

Cos’è l’affinità elettiva?

Credo che Goethe ne abbia parlato molto meglio di me, ma anche Paolo Giordano ne “La solitudine dei numeri primi”, si parla molto di anime gemelle, fiamme gemelle etc. con tante sfaccettature, certo è che tutti conosciamo quella sensazione di riconoscere qualcuno per coincidenze quasi inspiegabili, di ritrovare dei parallelismi biografici, degli irrisolti analoghi, delle tensioni parallele, a volte rischiando di amplificare la suggestione e facendosi un po’ male, ma vivere per me è anche sbucciarsi le ginocchia in questi territori a rischio.

È possibile sperimentarla e viverla?

Sì, a me è capitato in tanti ambiti, a volte ci vuole l’umiltà di riconoscere che qualcosa che ci illumina o ci respinge rispetto a qualcun altro è una nostra zona d’ombra che cerca riconoscimento e nutrimento. Non possiamo fare a meno dell’intensità emotiva, ma dobbiamo anche imparare a collocarla in qualcosa che sia costruttivo, il romanzo cerca di indagare questa tensione costante.

Perché: È raro che una felicità venga esattamente a posarsi sul desiderio che l’ha reclamata (M. Proust)?

Forse perché le attrazioni epidermiche nascondono una enorme proposta di lavoro, che comunque trasforma la tensione iniziale in altro o pragmaticamente nello sfumare dell’emozione stessa a favore di caratteristiche altre, dopo il romanticismo pretendiamo la stabilità, poi la noia rischia di annegare tutto, le tentazioni, la capacità di restare, io sono convinta che la capacità di restare in gran parte dei casi sia la chiave. Il secondo volume si chiama appunto “L’amore è una scelta solitaria”.

Ne la “Recherche” proustiana quanta cifra esistenziale si ritrova che ancora appartiene al nostro essere nel mondo?

Guarda, ho letto la “Recherche” due volte e sono rimasta colpita di quante cose avessi perso nella lettura giovanile, c’è una crudeltà profonda e altrettanta lirica in filigrana, ne “Le orchidee” ho cercato di travasare i capisaldi che mi sono parsi di estrema attualità: l’amore omosessuale, l’illusione del sentimento, i salotti culturali anche da retro di copertina, la reinvenzione che la memoria opera sul vissuto. Ma ne ho fatto una rivisitazione pop, ci sono molti scrittori più esperti dal punto di vista della raffinatezza critica che parlano di lui in modo eccelso.

Perché parlare così incisivamente di omosessualità?

Speriamo che la descrizione risulti incisiva veramente. È quanto di più personale e insieme di più traslato io abbia mai scritto, non ci sono istanze rivendicative, ma puramente descrittive, ci sono le mie passioni, le mie frustrazioni, il mondo fluido che abito più o meno felicemente, tante rivisitazioni di cose mai accadute veramente; si potrà pensare che io abbia una vita sessuale molto interessante; invece, purtroppo credo solo di essere bravina a dilatare le parentesi. Mi piaceva l’idea di raccontare persone, vite, amori, che incidentalmente sono soprattutto gay. Se proprio devo fare una notazione sociologica mi pare che si stia tornando a pericolose confusioni tra omosessualità e pedofilia, nel pensiero comune ma anche in ambiti altamente spirituali, questo lo trovo molto angosciante e da contrastare con la coscienza sensibile che vede tante famiglie omogenitoriali serene e seriamente devote ai loro bimbi.

La morte in tutto questo cosa c’entra?

Tommaso ne è inseguito, sempre. Sia lui che Diana vivono nel libro una profonda trasformazione spirituale, seguendo cammini paralleli, interrogandosi sulle pratiche salvifiche, sulla fede, sul concetto di miracolo. Il confronto con la morte è il grande motore che dà luce alle scelte della vita, al suo sapore; io mi chiedo spesso cosa sceglierei in qualche circostanza complicata se sapessi di avere il tempo contato, spesso le cose assumono un contorno diverso, più serio, in alcuni casi duro, altri dolcissimo. Ho cercato di mettere la stessa passione nel parlare di sesso come di anima. Senza morire a noi stessi continuamente non viviamo davvero.

Cara Roberta, grazie di emozionarci tanto, tu adesso cosa stai preparando ancora?

Ho pronto un romanzo di fantascienza sul Green Pass, condito di illustrazioni di pregio, abbiamo vissuto anni che non possiamo permetterci di rimuovere, poi una storia esoterica ambientata a Venezia, lo spettacolo su Niki de Saint Phalle che vorrei portare in luoghi non specificamente teatrali, sacri, una nuova idea teatrale innovativa per l’anno prossimo e, come ti dicevo la scorsa volta, una gran voglia di dimenticarmi travasandomi in progetti anche altrui, magari di sceneggiatura.

Vuoi aggiungere altro?

Che spero tanto che questo grande affresco omosessuale possa venire amato da lettori che non sanno nulla di questo mondo. Il grande male del tempo sono le generalizzazioni: gli omosessuali, i fascisti, i russi, i no vax, i politici, gli artisti, le femministe, i vegani, le famiglie tradizionali, gli animalisti, i buddisti, i cattolici … creiamo continuamente etichette di diffidenza e possibile conflitto, ma per me la pace autentica comincia con il riscoprire anche scomodo della comune natura umana che ci vede ridere e piangere ogni giorno per le intermittenze di questo benedetto cuore. I sentimenti sono ciò che di più serio abbiamo e li maltrattiamo o permettiamo che vengano maltrattati troppo spesso.

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