Se lui è antipatico

Giovanni è un giovane uomo. Famiglia borghese alle spalle. Il padre funzionario di un’azienda estera. La madre musicista.

Figlio modello. Bravo negli studi.

Competitivo negli sport. Disponibile. Mai un capriccio. Una preoccupazione. Carriera universitaria eccellente.

Laurea internazionale con centodieci e lode. Parla correttamente tre lingue.

Uomo brillante. Carriera avvincente. Abita in un lussuoso loft a Milano, regalato dalla nonna paterna. Frequenta le persone giuste legate al suo ambiente di lavoro. Socio nel service più raffinato della città.

Tutto è perfetto. Almeno così sembra. Nulla stona nella sua vita.

Un mattino d’estate, qualcosa invade i suoi pensieri.

Come una goccia che cade continuamente nello stesso punto crea nella sua mente una perforazione emotiva che lo porta a riflettere sulla sua vita. La sensazione che vive è sgradevole. Lo rende nervoso. Irritato.

Ci incontriamo in autunno. L’appuntamento è preso dalla sua segretaria. Lui arriva con notevole anticipo.

L’attesa lo innervosisce. Si agita fino a quando non si accomoda nello studio. Ha un atteggiamento supponente. Appare arrogante. Esuberante.

Si guarda intorno. Fa una smorfia. Si siede. È agitato.

Mi guarda come a cercare un ancoraggio. Lo saluto. Sorrido. Lascio che si accomodi nella poltrona. Chiedo come posso aiutarlo.

Sta in silenzio per alcuni minuti.

Sembra infastidito. Si agita innervosito come se trattenesse la sua voglia di scappare.

L’impressione che ho è quella di un bambino impaurito che attende di essere ripreso per qualcosa che non ha fatto bene.

È teso. C’è tensione in tutta la stanza. Il suo sguardo non trova un ancoraggio. Sbatte gli occhi con rapidità. Si tocca continuamente la punta del naso.

Dopo qualche minuto, fissando un punto nel muro, dice: “Perché nella mia vita non ci sono amicizie, amori, affetti veri? Perché non riesco a entrare in sintonia con l’altro?”.

Due domande infinite che aprono un dialogo denso di emozione e significato. Ci interroghiamo sul significato dei legami. Sul bisogno che ci fa entrare in relazione con l’altro. Sulla necessità di alleviare il senso di solitudine che a volte travolge. Inoltre, su quanto la prima impressione sia importante per costruire un incontro.

Il primo incontro mette in moto processi psicologici, più o meno consapevoli, volti a costruire una rappresentazione della persona che si ha di fronte. È una sorta di rispecchiamento. Incontrando l’altro incontriamo parte di noi.

Promuove un’opinione che si basa su una serie d’informazioni, come il linguaggio del corpo, il modo di conversare, la sintonia, l’empatia, la capacità di ascolto, l’esserci, il vissuto.

È una fotografia istantanea, a volte può modificarsi con il tempo, altre volte resta legata al ricordo memorizzato.

Il vissuto individuale influenza l’effetto prima impressione tanto che sentiamo sin da subito se quella persona è simpatica o antipatica. Se possiamo fidarci o non fidarci. Se riusciamo a lasciarci andare o abbiamo bisogno di uno schermo protettivo per paura di restare feriti.

In pochi secondi decidiamo se fidarci, se difenderci, se allontanarci, se costruire un legame.

Quali fattori che comunichiamo quando incontriamo l’altro? Possiamo individuarne quattro:

Bellezza – L’aspetto fisico aiuta a valutare se una persona è simpatica. Una persona attraente suscita sentimenti positivi sia nel privato sia nell’ambito professionale facendo passare in secondo piano aspetti meno positivi. La bellezza, da sempre, è il passaporto del successo sociale. Bellezza-simpatia ha un forte un potere persuasivo. Tuttavia, incontriamo delle persone molto belle che sono anche insopportabili. Quella sensazione sgradevole crea un’emozione di antipatia che porta a creare un distacco. La bellezza può essere una via per catturare l’attenzione ma sta alla persone farne buon uso senza utilizzarla come arma di supponenza e distacco.

Simpatia e/o antipatia
- La simpatia è una questione di pelle. È un incontro, dove ci sentiamo a casa. L’antipatia è dettata da segnali che raggiungono l’altro a prescindere dalla comunicazione verbale. Tono di voce, postura, modo di vestire, gesti, atteggiamenti sono aspetti che possono provocare antipatia. Il meccanismo che ci fa dire quella persona mi è antipatica nasce quando la persona ci ricorda qualcuno che c’è antipatico; fa da specchio rimandando qualcosa che non approviamo in noi; è una minaccia o una rivale;
ci svaluta, ci tradisce.

Somiglianza
- Le persone che hanno interessi, opinioni come le nostre ci attraggono e ci piacciono. Appartenere allo stesso mondo di valori e di modi di vedere il mondo e la vita crea un legame forte, solido, comunicativo.

Complimenti – Tutti amiamo i complimenti, essere apprezzati gratificati, riconosciuti. Il riconoscimento ricevuto porta a riconoscersi capaci di fare e non fare, al tempo stesso promuove il riconoscimento dell’altro. Riconoscere ed essere riconosciuto è alla base di una vita sana e in equilibrio.

L’essere antipatico ha radici che nascono da bisogni non soddisfatti, da vissuti di svalutazione che l’individuo sperimenta sin da bambino. Mano a mano, lungo il percorso della sua vita, organizza meccanismi di difesa per sostenere la dolorosità che porta in sé la mancanza di riconoscimento.

Sono convinta che l’incapacità di entrare in relazione con l’altro nasconde una sofferenza antica nascosta dentro il proprio vissuto.

Ricordiamoci che la vita vera è sempre incontro. Ogni vita veramente vissuta è fondata da incontri nutritivi e soddisfacenti.

 

 

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