“Resisti, Mattè!” debutterà il 21 aprile al Teatro Trastevere in Roma. La regia e la drammaturgia è affidata ad Alice Bellantoni. Nel cast troviamo: Violetta Rogai (Gaspare), Sofia Boriosi (Angela),
Manuel Matteucci (Matteo), Mila Damato (Margherita). Le musiche sono canzoni originali di Gabriella Ferri. Cover di Giulia Piergentili
La trama si snoda a Roma nel 1943. In una San Lorenzo bombardata e stremata dall’occupazione tedesca, Margherita figlia degli antifascisti Gaspare e Angela, scalpita per poter scendere in strada a combattere al fianco di Matteo, suo fratello maggiore. È giovane, irrequieta, nata e cresciuta sotto le dittature, ma la forza dei suoi ideali sembra alimentata da un fuoco impossibile da reprimere. Al di là della paura, del buonsenso, della storia, lei combatte e resiste, sostenendo sulle sue gracili spalle di ragazza, tutto il peso e la coscienza della resistenza partigiana.
La regia di questo spettacolo è stata pensata sul principio del “teatro povero”, per creare un impianto scenico dinamico e trasformabile in funzione della partitura gestuale degli attori. In scena solo quattro sedie che si trasformano sotto le mani dei personaggi in differenti scenari. Lo spazio scenico e la narrazione si delineano quindi, unicamente attraverso i movimenti attoriali. Abbiamo intervistato la regista Alice Bellantoni.
Chi è Matte’?
Matteo è un normale ragazzo romano di ventitré anni che ha la sfortuna di nascere e crescere nel pieno della dittatura fascista. La sua benedizione è quella di avere alle spalle il sostegno di due genitori che, soprattutto in quel particolare periodo storico, si impegnano ad educarlo al pensiero critico, a ragionare con la sua testa, trasmettendogli l’ideale di libertà e il senso di giustizia che, allo scoccare dell’8 settembre, lo portano senza esitare ad unirsi ai Gruppi di Azione Patriottica che contenderanno Roma ai carri armati nazisti e alle squadracce fasciste, nell’ultimo e più sanguinoso periodo del secondo conflitto mondiale.
Perché deve resistere?
Deve resistere perché la dolce tentazione di lasciarsi andare quando ci si sente stremati è pericolosamente invitante. Voler mollare tutto e arrendersi quando in ballo, oltre alla tua vita e quella di chi ami, c’è il tuo quartiere, la città in cui sei cresciuto, il mondo intero per come lo hai conosciuto, è un sentimento così comprensibile, soprattutto per un ragazzo troppo giovane per il compito che sente di dover portare avanti. Ma se si ascolta questa sirena, se la si lascia parlare alla nostra stanchezza, che cosa resta di quello in cui crediamo e per il quale abbiamo scelto di lottare?
Perché scegliere una Roma bombardata?
Perché se il sabato sera, a Roma, si va a bere nel quartiere di San Lorenzo, è bene avere in sovrimpressione, davanti agli occhi, lo sventramento e macerie dalle quali il quartiere (sineddoche per Roma) ha mostrato i denti e si è difeso. Perché fa bene ricordare che le bombe e le brutalità che la città ha vissuto non sono state solo quelle naziste. Perché è storia troppo recente per lasciarla raccontare solo ai film neorealisti.
Quale il messaggio di questa drammaturgia in un tempo che ancora si hanno guerre importanti?
Al di là della scelta politica e morale dell’antifascismo, la drammaturgia mostra le dinamiche di una famiglia estremamente sana e funzionale inserita suo malgrado nel brutale contesto di una guerra civile, come è in effetti stata la guerra che i partigiani italiani hanno vissuto dopo l’invasione, soprattutto nelle città. Il fulcro di tutta la storia non è altro che un momento ben specifico di ogni famiglia: quello in cui i figli diventano grandi e prendono in mano la loro vita, affermandosi come individui capaci di operare scelte consapevoli. Farli arrivare preparati e sicuri a questo grande momento è il compito più nobile di un genitore. Un’identità salda e forte è il dono più grande che un figlio possa ricevere.
Chi è Margherita?
Margherita è la piccola di casa. Ha appena vent’anni ed è nel pieno delle sue forze vitali. Per questo è molto difficile tenerla a bada (come ogni ventenne che si rispetti). L’unico problema, anche qui, è il contesto storico estremo in cui le è capitato di avere vent’anni. E il bias cognitivo che porta anche il più emancipato degli individui a dire ad una femmina, ad una piccola: “Non puoi. È troppo per te!”. Per fortuna, come ho detto sopra, il suo nucleo familiare è composto da gente in gamba.
Quanto gli ideali dei giovani in tempo di guerra hanno forgiato il futuro del nostro paese?
Senza dubbio hanno permesso al paese di fondarsi su una costituzione di stampo antifascista. Fin lì tutto bene. Poi qualcosa è andato storto, ma QUEI giovani ormai sono quasi tutti morti. Non mi sembra giusto dare a loro la responsabilità della situazione attuale. Per citare Lisbeth Salander dalla penna di Larsson: “l’Armageddon c’è stato ieri. Oggi abbiamo un serio problema”.
Resistere, combattere, non arrendersi è ancora di grande insegnamento?
Non credo ci sia mai stato un momento in cui non lo sia stato. È importante che venga trasmesso da chiunque abbia la possibilità di insegnare qualcosa.
La GenZ sembra abbia smarrito questa capacità?
Si dovrebbe chiedere direttamente a loro. Comunque, sicuramente un boomer può trovarsi a pensare che sia così senza considerare che per smarrire qualcosa, prima devi averla acquisita da qualcuno che te l’ha donata. Ma io sono una millennial: non potrò mai insegnare di ruolo. Confido che la GenZ riesca a cavarsela anche con i pessimi insegnanti che si è ritrovata.
Il mondo della rete rende tutto più facile e raggiungibile, tuttavia, si vive lo smarrimento e la solitudine, perché si sono persi gli ideali di cui la drammaturgia parla?
Pessima idea partire dal presupposto che questa drammaturgia sia per nostalgici.
All’epoca che tipo di genitorialità cresceva i giovani?
Fossi cresciuta all’epoca potrei rispondere.
Ideali e regole giuste o sbagliate?
Sacrosante entrambe solo se dettate da un sano pensiero critico. Da abbattere con forza se non.
E attualmente dove siamo, dove stiamo andando?
Mi sfugge la pluralità alla quale è rivolta la domanda. Nel dubbio la traslo al singolare: Sono economicamente alla deriva e sto andando verso una base minima di stabilità emotiva. Come del resto la maggior parte della mia generazione.
Chi sono i compagni di viaggio?
È riferita allo spettacolo? In questo caso un gruppo di artisti con la mia stessa urgenza di donarsi attraverso le storie che raccontiamo.
Perché le musica di Gabriella Ferri?
Perché questa famiglia romana ha la sua voce: verace, piazzata e confortevole come il “mortacci tua” di qualcuno che ti vuole bene. Ma la drammaturgia sonora doveva essere bilanciata da una fede nel futuro che fosse giovane, limpida e gentile, soprattutto in tempo di guerra, quando si è stremati: e le ha dato la voce Giulia Piergentili.
Andrete in tour?
Non ancora. Siamo un progetto ancora troppo giovane per gestire un impegno simile. Ma ci stiamo lavorando.
Progetti?
Il 26 maggio prenderemo parte alla prima edizione un festival del teatro off romano organizzato dal teatro Palladium nel quartiere di Garbatella. Poi questa estate inizieremo il montaggio del nostro nuovo spettacolo. Seguiteci sulla pagina Instagram @compagniadegliarcani
Vuole aggiungere altro?
Solo un messaggio di solidarietà a tutti i teatri off che stanno stringendo i denti da ben prima del 2020: Noi teatranti da quattro soldi (di paga) lo sappiamo, quanto siete eroici. Tenete duro!