QFWFQ, per farla finita con lo spettacolo

QFWFQ, per farla finita con lo spettacolo da 14 febbraio al teatro Trastevere a Roma per la regia di Nino Pizza. Un cast nutrito che vedrà in scena: Alessia Fiorentini, Alice Tanganelli, Andrea Cefali, Anna Zaccaria, Bianca Cordeschi, Carmela Lavorato, Caterina Breda, Emanuele Cau, Emiliano Marrocchi, Fabio Lipparoni, Federica Formaggi, Federica Occhipinti, Gianmaria D’Alessandro, Giovanna Fagiani, Gianluca Mastronardi, Ilaria Folchi, Lorenzo Iannello, Luca Nisii, Marco Colella, Maria Paola Stramacci, Michele Noccelli, Paolo Capecchi, Rachele Roggi, Salvatore Gambilonghi, Stefano Scognamillo, Vincenzo Giorgi. Là drammaturgia vede la firma di Marcello Fagiani.
 

L’opera racconta che i nontantoprecisi incrociano Calvino attraverso lo studio della parola che dà scena. Qfwfq è il personaggio principale delle sue Cosmicomiche, un nome che non può dirsi se non in una vibrazione che scuote il corpo, rendendolo simile a un verso e che a seconda dello stato emotivo può avere diversa declinazione. Come Calvino lavora alla scrittura i nontantoprecisi lavorano alla parola, al di là della lettera che la costringe nel comune senso e lavorano alla sua presenza e necessità, ricercandone una partitura spazio-tempo-corpo che la incarna mettendola in azione.

Al contrario tutto finirebbe per toglierle possibilità, forza, speranza espressiva, per consegnarla esclusivamente al vuoto del senso prescritto, istituzionale, incorporeo, chiudendola nel simulacro della comunicazione convenzionale e negandole la libertà della poesia.

“Qfwfq – racconta Nino Pizza – è uno dei personaggi principali delle Cosmicomiche di Calvino che in alcuni racconti si configura anche come voce narrante che prende corpo in una dimensione trasversale al tempo e allo spazio. Il racconto calviniano, come la voce di Qfwfq, non sono collocabili in un tempo e spazio dati ma, liberi da queste condizioni, costruiscono un punto di vista visionario in grado di delineare la storia del mondo e del cosmo dalla contemplazione di una nuova quotidianità che improvvisamente si manifesta. Quello che Calvino descrive nelle sue narrazioni, le vicende e i fenomeni cui Qfwfq assiste, se pure definiscono immagini fantastiche di mondi extraplanetari che si originano e trasformano, non appaiono avulsi dal paesaggio terrestre che ci è noto ma, al contrario, è proprio attraverso quello che noi conosciamo che possiamo incontrarli. È quasi come una visione improvvisa, un flash non di un altro mondo bensì di quello che quotidianamente ci ospita e che improvvisamente ci appare nel processo dinamico che lo costruisce piuttosto che nelle forme alle quali siamo costantemente abituati. Le cose animate e inanimate si mostrano in una partitura dello spazio e del tempo che ha origine nel gesto corporeo che muove e rende vivi mettendo al mondo quello che già c’è per come ancora non è. L’esperienza visiva di Qfwfq, tradotta nella prosa calviniana, tesse una trama dove i fili dello spazio e del tempo si intrecciano e si annodano lasciando che ciascuno intuisca e disegni le figure e le forme della storia. Sulla scena l’esperienza narrativa si confronta con l’inevitabile mancanza che la parola porta con sé. Quanto può essere immediata per segnare l’istante che la richiede, quanto piena per colmare lo spazio che apre, quanto agile per sostenere il corpo che l’incarna? L’esercizio fisico che muove da queste inquietudini riporta una parola che si anima nel vibrare della voce che la dice ma anche nel silenzio che la tace, nell’articolazione del gesto che la abita ma anche nella sospensione del movimento che la segna. Così la parola si dà alla vista e l’ascolto è parte dell’azione che dà scena. È per questo che il nostro Qfwfq non è un personaggio ma una condizione corporea di lavoro e studio collettivo dove la prossimità, la condivisione, la conoscenza si manifestano come atto poetico”.


Abbiamo intervista Nino Pizza.

QFWFQ, ovvero?

E’ uno sciogli-lingua o c’è di più?

Qfwfq è il “non nome” che Calvino dà a uno dei personaggi principali delle sue cosmicomiche. È vero che risulta quasi impronunciabile e per questo induce una sorta di esercizio fisico nel tentativo di farlo, quasi una smorfia, che ci fa cogliere la parola nella sua dimensione corporea, nella sua gestualità sonora piuttosto che nella sua lettera. Questa fisicità del dire ci coinvolge e ci impegna nel lavoro.

Perché “per farla finita con lo spettacolo”?

La nostra scena è il lavoro continuo di definizione di spazio, tempo e corpo comuni che impegna il gruppo di attori. Questa ha inevitabilmente una dimensione transitoria e dipende ogni volta da una serie complessa di circostanze che si propongono all’attenzione degli attori. Quasi nulla è mai predeterminato, l’azione si propone proprio nella costruzione della relazione con le cose animate e inanimate con cui gli attori si confrontano. Questo lavoro vivo sembra essere secondario rispetto a quanto oggi può intendersi col termine di spettacolo dove quasi tutto è fissato, ripetibile, direi misurato in un tempo e in uno spazio dati, dove anche il corpo si disperde rispondendo a gesti concordati e prescritti.

Chi sono “I nontantoprecisi”?

I nontantoprecisi sono una compagnia che nasce da un’esperienza di laboratorio teatrale di quasi vent’anni fa in un centro diurno del Santa Maria della Pietà (l’ex manicomio di Roma). Da lì la spinta verso la costituzione di un gruppo che facesse del lavoro collettivo un obiettivo primario. Oggi i nontantoprecisi hanno un assetto che risponde a questo obiettivo. Il lavoro è sempre frutto di una collaborazione tra chi conduce il laboratorio, chi svolge il lavoro fisico della scena e chi osserva ciò che accade dando alla scena confini labili, aprendo così a soluzioni improvvise e inaspettate. Il lavoro che i nontantoprecisi conducono sugli elementi fondamentali del dispositivo teatrale è offerto, in questa forma, anche a enti e istituzioni impegnate nel campo educativo, sociale e artistico.

Come si incastrano con Calvino?

Il termine “incastrano” ci sembra appropriato, coglie il genere del nostro incontro col grande Autore pur non portando in scena i suoi racconti. Nell’opera dell’ultimo Calvino cerchiamo le linee, gli angoli, i contorni che, attraverso un nuovo concetto di spazio, ci guidano al giusto aggancio. Attraverso conoscenze attuali della Scienza Calvino, immaginando lo spazio cosmico, trova i pensieri e le immagini che motivano la sua scrittura, come se lavorasse a “disegnare una fiaba”. Per la nostra compagnia il microcosmo della scena offre l’opportunità di innescare l’azione, dare forma al movimento quasi come dare a una fiaba non l’illustrazione ma la sua figura.

Inoltre, Calvino fa della concezione di spazio e tempo un cardine della sua narrazione mutuando dal dato delle nuove conoscenze scientifiche suggestioni letterarie e nuovo linguaggio. Per questo la sua lettura aiuta e sostiene il nostro lavoro.     

Come fa lo studio della parola “a dare” scena?

La parola in azione è un gesto al pari di un braccio che si stende, una mano che si contrae, la smorfia di un viso. Come tale ha una sua dimensione fisica fatta di spazio, tempo e corpo. L’articolazione della voce, attraverso lo strumento delle lettere, è capace di aprire spazio, segnare tempo e durata, trovare leve e molle muscolari senza cui mai s’è potuta ascoltare parola. L’incrocio di queste coordinate definisce l’azione che la parola determina e che inevitabilmente si offre alla visione dando scena. E così la parola oltre che all’ascolto si dà alla vista. Ma allo stesso tempo, per le stesse ragioni, va riconosciuta scena a una parola per così dire muta, altrettanto forte e talvolta assordante incarnata dal lavoro del corpo che la tace. E se la parola risiede nel gesto che la abita è pur vero che talvolta segna ed è segnata più profondamente nel lavoro di sospensione del movimento che arresta il corpo. Gli attori impegnati nell’attenta partitura di questi elementi tessono una trama tra le cui maglie ciascuno può muoversi, più o meno liberamente, a costruire la propria visione, a dare il proprio senso. La dimensione collettiva di questo lavoro degli attori anima un dialogo visuale tra corpi, spazi e tempi dove la scena trova vita.

Chi è il personaggio principale delle sue Cosmicomiche?

Non lavoriamo alla messinscena delle cosmicomiche di Calvino. Per noi Qfwfq non è un personaggio ma piuttosto indica, come abbiamo già detto, una condizione corporea di studio e lavoro che pratichiamo col teatro attraverso la quale osserviamo le cose che accadono anche nella scena. Se proprio dovessimo indicare un protagonista del nostro lavoro direi che questo è il gruppo, perché ogni proposta scenica, ogni espressione muove dalla costruzione di una presenza comune e condivisa.

Come Calvino lavora alla scrittura, i nontantoprecisi lavorano alla parola?

Qual è il messaggio di questa drammaturgia?

Ancora una volta il lavoro collettivo. Il nostro è un percorso sulla quotidianità osservata attraverso il confronto e lo studio in comune. Questo equivale a elaborare una visione fuori dall’ordinario e dalla consuetudine che appiattiscono la percezione delle cose facendo apparire tutto scontato, inevitabile, immutabile. Viviamo un particolare momento storico in cui nonostante le profonde trasformazioni che intercorrono con una rapidità sorprendente, manca la capacità di costruire una visione del mondo e del vivere che possa affrontare le grandi questioni che abbiamo di fronte. Occorre una vera e propria transizione culturale fondata su una nuova visione e lettura critica del presente cui la pratica artistica, nel nostro caso teatrale, può aprire. Il nostro lavoro intende diffondere questo approccio al vivere e all’esperienza quotidiana delle persone.

Chi sono i suoi compagni di viaggio?

Innumerevoli, tutte le avanguardie che hanno affrontato il problema dell’arte nell’espressione del mondo e dei fenomeni umani. Sicuramente troviamo in Antonin Artaud e Peter Brook due maestri formidabili che hanno saputo innescare un cambiamento profondo in tutto il teatro del Novecento che ancora oggi trova spazio nelle visioni più contemporanee dell’arte dal vivo. Ma più in generale siamo interessati a tutto lo studio che oggi è diffuso e contamina campi, tecniche e pratiche artistiche, dal teatro alla danza, dalla pittura al cinema. Vorrei per esempio ricordare il cinema di Jean-Marie Straub e Daniel Huillet, e il cinema di Fabrizio Ferraro che sicuramente muove da quella esperienza riuscendo a costruire oggi dei film di grande interesse e forza poetica.

Perché Calvino e’ ancora attuale?

«Io vorrei servirmi […] d’una carica propulsiva per uscire da abitudini dell’immaginazione e vivere anche il quotidiano nei termini più lontani dalla nostra esperienza»

«Oltrepassare i confini delle abitudini dell’immaginazione, ovvero di una rappresentazione del mondo e dell’uomo a una dimensione fin troppo rigidamente codificata. Verificare se esistono e come funzionano altri orizzonti immaginativi con cui provare a rappresentare la quotidianità è il progetto a cui Calvino dedicherà ogni sua energia». Con queste due frasi (la prima di Calvino in Premessa a La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche, la seconda di Massimo Bucciantini in Pensare l’universo. Italo Calvino e la scienza) penso si possa ben sintetizzare l’attualità dell’opera del nostro Autore. La perentorietà con cui Calvino avverte la necessità di costruire una nuova visione delle cose e del mondo in relazione ai profondi cambiamenti sociali, politici, culturali, che lui aveva ben chiari, avvicinano il suo mondo al nostro e ci dà in eredità la spinta ad «accettare la sfida lanciata da questo nuovo mondo, in cui occorrono intensità di sentimenti e talenti nuovi, e parole mai prima usate, capaci di disegnare confini del pensiero e della poesia sempre più ampi e intrecciati» (Massimo Bucciantini in Pensare l’universo. Italo Calvino e la scienza).

Che cosa descrive Calvino?

Quello che Calvino descrive nelle sue narrazioni, le vicende e i fenomeni che Qfwfq vede, se pure definiscono immagini fantastiche di mondi extraplanetari che si originano e trasformano, non appaiono avulsi dal paesaggio terrestre che ci è noto ma, al contrario, è proprio attraverso quello che noi conosciamo che possiamo incontrarli. “Quasi una cronaca meticolosa e dettagliata del quotidiano”. È come una visione improvvisa, un flash non di un altro mondo bensì di quello che quotidianamente ci ospita e che improvvisamente ci appare nel processo dinamico che lo costruisce piuttosto che nelle forme alle quali siamo costantemente abituati. Le cose animate e inanimate si mostrano in una partitura dello spazio e del tempo che ha origine nel gesto corporeo che anima la capacità di vedere, che muove e rende vivi mettendo al mondo quello che già c’è per come ancora non è.

Che cosa si aspetta dal pubblico?

Ci aspettiamo, o forse ci auguriamo che si interessi o almeno incuriosisca del nostro lavoro. O forse ancora più semplicemente che si possa stare assieme, condividere un luogo e un po’ di tempo sorprendendosi reciprocamente di aver lavorato a incontrarsi e conoscersi almeno un po’.

Andrete in tour?

Questo lavoro, per ora, non ha altre date oltre quelle di Roma al Teatro Trastevere. Speriamo possa trovarle quanto prima.

Progetti?

Tanti. Tra questi vorrei ricordare il lavoro dal titolo Eneidi, sempre con i nontantoprecisi, che, oltre a Roma è stato anche a Napoli. È uno studio sul movimento attraverso il fenomeno della migrazione. Vorremmo dargli una vita più lunga e, tra le altre tappe, approdare a Lampedusa per incontrare, attraverso il nostro lavoro, persone di altri mondi definite profughi che per noi rappresentano un’avanguardia di trasformazione e conoscenza.

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