Le città invisibili

Dal 24 al 29 ottobre al Teatro Trastevere in Roma andrà in scena lo spettacolo: Le città invisibili di Italo Calvino per la regia di Ivan Vincenzo Cozzi, con Andrea Dugoni, Claudia Fontanari, Silvia Mazzotta, Brunella Petrini. Le musiche originali sono di Tito Rinesi, le scenografie affidate a Cristiano Cascelli, i costumi di Marco Berrettoni Carrara.

In occasione dei cento anni dalla nascita del grande scrittore, torna in scena, con un cast in parte modificato, lo spettacolo, creato nel 2016 e trova nuovi gesti e nuova attenzione per i significati onirici, combinatori e visionari ideati da Calvino, invitando il pubblico a ripercorrere le tappe di un viaggio fantastico, tra sogno e realtà, sulle orme di Marco Polo, al cospetto dell’imperatore tartaro Kublai Kan, alla scoperta di quei luoghi, reali ed immaginari, che compongono il grande regno del sovrano orientale.

“Le città invisibili” mette in scena 13 delle 55 città che compongono il romanzo, scelte fra quelle più prossime alla nostra realtà per attualità, significati o simbologie; che riportano il ricordo di qualcosa di già vissuto altrove, trovano un nuovo significato e una diversa dimensione temporale che prende forma nella parola narrata.

Ogni città è al contempo eterna, segreta, in movimento. Il dialogo immaginario fra Marco Polo e Kublai Kan, punteggiato e accompagnato dalle musiche originali di Tito Rinesi, s’attarda fra segreti, prospettive ingannevoli, fragilità e vita mentre attorno prende forma qualcosa di nuovo, perché forse è vero, come dice il Kan (Andrea Dugoni), che ogni città altro non è che la descrizione di una sola, unica città. Quella perfetta.

E se ognuna delle città immaginate da Calvino nel romanzo del 1972, ha nomi di donna, il regista affida proprio a tre donne (interpretate da Claudia Fontanari, Silvia Mazzotta e Brunella Petrini) il ruolo del mitico esploratore: tre figure femminili quasi archetipiche, tre viaggiatrici del tempo e dello spirito, che suggeriscono la natura corale, arcaica, ancestrale ma anche sfuggente e impersonale del raccontare.

In ogni tappa le nostre Marco Polo portano nei propri sacchi, al cospetto del sovrano, una testimonianza: pezzi d’avorio, un elmo, una conchiglia, cerbottane, tamburi e quarzi, disposti su piastrelle bianche e nere, e poi spostati, via via che il viaggio e il racconto si snoda, sotto gli occhi di un imperatore nostalgico che in quei racconti tenta di rintracciare un senso, di intuire le geometrie e i movimenti di quel “disegno tracciato dai salti spigolosi dell’alfiere, dal passo strascicato e guardingo del re dell’umile pedone, dalle alternative inesorabili d’ogni partita”.

Una partita che si gioca nel giardino fantastico del Kan, appena sotto le mura oltre il mercato, dove i viaggiatori scambiano le merci, o i bivacchi dove riposano. Anch’esso è un luogo, forse immaginario, dove il sovrano Kublai Kan cerca di rintracciare il senso e l’identità del suo regno, che va disfacendosi. Ma soprattutto di capire quale sia il senso e il fine del gioco stesso.

E la risposta, forse non ancora trovata, spetta ad ogni spettatore che, come Marco Polo, affronta il suo viaggio. Abbiamo intervistato il regista che ci conduce all’interno del suo lavoro.

Le città sono davvero invisibili?

Tutte le città lo sono perchè mutano sempre e diventano continuamente qualcosa di diverso da quello che credi di aver già visto e da quello che immagini.

Perché la scelta di un testo di Italo Calvino?

Quando questo viaggio teatrale è iniziato perchè era un testo del cuore: volevamo misurarci con un testo valido che ha in sé una poetica affascinante e al contempo volevamo verificare come potesse essere una messinscena degna di Calvino.

Oggi, per celebrare i cento anni di uno scrittore multiforme e sempre sorprendente.

Uno spettacolo, creato nel 2016 che oggi ritrova nuovi gesti e nuova attenzione per i significati onirici, combinatori e visionari ideati da Calvino, che cosa ama il pubblico?

Il pubblico vuole essere affascinato dalla narrazione di storie. Il segreto di Calvino è raccontare storie. Noi tutti abbiamo necessità di ascoltare belle storie. Noi viviamo e ci alimentiamo di storie fantastiche, avventurose, di viaggio. Tutti aspettiamo di incontrare una nuova Sherazade.

Ogni vita vera è un viaggio denso di tappe, Calvino quale spunto di riflessione offre?

Spesso la vita la viaggiamo senza neanche rendercene conto, senza soffermarci su quello che troviamo lungo il percorso, senza raccoglierlo. la riflessione che offre Calvino è che sottolinea l’importanza di entrare nella sperimentazione del viaggio, di capire il senso del nostro personale viaggio che è poi quello della nostra vita.

Quali città invisibili mette in scena lo spettacolo?

Tamara, la città che esiste per i segni che la designano; Diomira, la città del ricordo felice; Tecla, la città in perenne costruzione; Zenobia, in equilibrio su palafitte e sottili trampoli; Cloe, dove non ci si scambiano che sguardi; Eufemia dove ci si scambiano le storie; Despina, la città che suscita desideri impossibili; Fedora, che mantiene la memoria di ogni cambiamento avvenuto; Eusapia e il suo doppio sotterraneo costruito dai morti; Sofronia, la città dei tirassegni e degli ottovolanti; Valdrada, che riflette ogni più piccolo elemento o gesto nella sua copia che si specchia sull’acqua; Leonia, la città che accumula spazzatura e sommerge ogni cosa e Adelma, dove in ciascun volto riconosci qualcuno a te caro che è morto.

Come sono state scelte le 13 città?

In primo luogo, per sintonia con il nostro sentire e, approfondendo, perché sono metafore di quello che viviamo ogni giorno. Quello che mi sorprende è che questo testo, scritto fra il 1962 e il 1972 è più attuale oggi che non ieri quando tutto ciò che immaginava ancora non era divento realtà.

Che cosa rappresentano nell’immaginario collettivo?

Danno vita al senso di vivere nella città. Riportano alla necessità, abbastanza recente, fra l’altro, dell’umanità di aggregarsi, di essere collettività. Ognuna delle città di Calvino rappresenta una diversa esperienza di vita nell’immaginario collettivo e ognuna ha percorsi, pensieri e problematiche differenti.

Perché Ogni città è al contempo eterna, segreta, in movimento?

Eterna, perché ha insita in sé la possibilità di rigenerarsi di volta in volta; segreta perché le sue trasformazioni non sono mai davvero evidenti; in movimento perché assieme alla città mutano anche i suoi abitanti che la trasportano con sé nel loro andare.

Il dialogo immaginario fra Marco Polo e Kublai Kan, che cosa sottolinea e conduce a riflettere?

Il dialogo conduce il Kan alla conoscenza del suo impero che finora si era solo limitato a conquistare credendo che il potere risiedesse nella quantità di terre e di tesori posseduti, mentre si accorge che il vero tesoro è nella conoscenza di ogni sfaccettatura di quello che ci circonda, che abbiamo e che amiamo. Una riflessione valida per noi tutti.

Esiste la città perfetta?

Per fortuna no, è sempre meglio diffidare dall’immobilità che porta la perfezione. Ma come dice Calvino noi non dobbiamo mai smettere di cercare la città che più ci appare perfetta, perché, magari, “mentre noi parliamo sta nascendo sparsa” in qualche luogo in cui potremo vederla.

Le città descritte nello spettacolo da chi sono interpretate?

I protagonisti di queste Città Invisibili sono quattro: Kublai Kan, i cui dialoghi rappresentano l’innesco per la narrazione delle diverse città e tre donne, mercanti e viaggiatrici non solo dello spazio, ma anche del tempo e della conoscenza. Ognuna di loro è una sfaccettatura di Marco Polo, ognuna di loro interpreta una diversa città, sempre con il sostegno delle altre.

Marco Polo simboleggia il viaggio?

In Calvino Marco Polo più che il viaggio stesso, rappresenta l’esperienza che si fa nel viaggio, quell’esperienza che anticamente facevano i viaggiatori e i mercanti, incontrando, sul loro percorso oggetti e idee sconosciute che raccoglievano e portavano con sé.

Che cosa porta con sé Marco Polo? Perché?

Marco Polo porta con sé, come già accennato, tutti gli oggetti che ha incontrato durante il viaggio e che per lui sono il significato dell’esperienza fatta durante il viaggio. Qualcosa di simile a quello che ancora oggi facciamo quando, al ritorno da un viaggio, svuotiamo le nostre tasche e ci troviamo monete straniere, biglietti di treni, un piccolo sasso, una foglia quasi sbriciolata, un souvenir.

Gli scacchi che cosa rappresentano?

Gli scacchi sono la possibilità di dare una forma visibile alla modificazione delle città che si evolvono secondo differenti modalità, tragitti e vanno a disporsi in nuove maniere. Kublai Kan prova a utilizzare gli scacchi come tecnica per visualizzare i cambiamenti del suo impero

Chi sono i suoi compagni di viaggio?

In questa edizione sono cambiati due interpreti, l’attore che impersonifica il Kan e una delle attrici che veste i panni di Marco Polo.

Con me stanno viaggiando dunque Andrea Dugoni, Claudia Fontanari, Silvia Mazzotta e Brunella Petrini. E non hanno mai smesso di viaggiare anche il compositore delle musiche originali, Tito Rinesi, il costumista Marco Berrettoni Carrara e lo scenografo Cristiano Cascelli.

Progetti?

È un momento di grande movimento per noi questo. Subito dopo le repliche al Teatro Trastevere parteciperemo con un altro dei nostri spettacoli “Herbarie. Le chiamavano streghe” al Festival Notti di Samhain il 1° e 2 novembre al Teatro Portaportese e poi inizierà un percorso laboratoriale sempre su Le Città Invisibili per le celebrazioni di Calvino organizzate dal Municipio Roma VII e per febbraio dovremo essere pronti ad andare in scena con un nuovo testo: “Desdemona non deve morire” di Alma Daddario.

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