La morte di Gianmarco Pozzi a Ponza: il silenzio, le ombre, la battaglia per la verità

C’è un giorno che cambia per sempre il battito del tempo. Un giorno che lacera l’anima, che spacca il silenzio con un urlo che nessuno sente davvero. Il 9 agosto 2020, sull’isola di Ponza, il corpo di Gianmarco Pozzi viene ritrovato senza vita in una stretta intercapedine tra due edifici. Ventotto anni. Un atleta, un ragazzo forte, vivo, generoso. Un figlio. Un fratello. Un amico. Da quel giorno, per la sua famiglia, il tempo si è fermato. È iniziato un viaggio nel dolore, ma anche nella lotta. Perché qualcosa, fin da subito, non tornava. Perché il dolore di un padre, di una madre, di due sorelle, si è fatto voce. La disperazione si è fatta coraggio. Il lutto si è trasformato in battaglia. Dietro quella morte ci sono troppi silenzi, troppe ombre, troppe domande rimaste senza risposta.

Cosa è accaduto davvero a Gianmarco quella notte? Chi voleva spegnere la sua voce? E soprattutto: perché?

Questa non è solo la storia di un ragazzo morto in circostanze misteriose. È la storia di una famiglia che si rifiuta di piegarsi all’oblio. È la storia di un’Italia che, a volte, volta lo sguardo, che archivia troppo in fretta, che dimentica troppo facilmente. Ma Gianmarco non sarà un numero tra le statistiche. Non sarà un altro nome scritto su una lapide e lasciato lì, nel silenzio. Perché la verità ha un prezzo, ma anche un destino: quello di venire a galla. E finché ci sarà anche solo una voce a gridarla, Gianmarco non sarà mai stato dimenticato.

«Mio figlio Gianmarco non si è tolto la vita. È stato ucciso. E noi non ci fermeremo finché non verrà fatta giustizia». Parla Paolo Pozzi, padre di Gianmarco, trovato morto il 9 agosto 2020 a Ponza. Con lui, il criminologo Michel Emi Maritato: «È un caso con troppi buchi neri. Un delitto nel silenzio di un’isola».

Chi era Gianmarco Pozzi?

A raccontarlo, con la voce spezzata dall’emozione e dalla dignità che solo un padre può mantenere nel dolore, è Paolo Pozzi: «Gianmarco era un ragazzo semplice, con i sogni e le fragilità dei suoi 28 anni. Amava lo sport, era campione di kickboxing, un atleta vero. Faceva mille lavori: giardiniere, magazziniere, vigilantes. Era altruista, dolce, timido. Sempre pronto ad aiutare chi aveva bisogno. Era un figlio con un cuore grande. Un ragazzo buono». Eppure, quel cuore si è fermato tragicamente a Ponza, in piena pandemia, nell’estate del 2020.

Il corpo ritrovato: troppe incongruenze

Gianmarco viene trovato morto il 9 agosto 2020, in un’intercapedine tra due edifici. La versione ufficiale inizialmente ipotizza una caduta accidentale. Ma qualcosa non torna.

Parla il criminologo e docente di criminologia Michel Emi Maritato, consulente della famiglia: «Ci sono dettagli che fanno rabbrividire. Il corpo presentava graffi sulla schiena. Negli slip è stato ritrovato un sacchettino gelo con filtri di sigarette e stuzzicadenti – un chiaro simbolo che rimanda a un messaggio. È impensabile che si tratti di suicidio. Gianmarco era un atleta, un combattente. Se qualcuno lo ha aggredito, non poteva essere solo: servivano almeno tre o quattro persone per neutralizzarlo».

Secondo Maritato, ci sono elementi che lasciano intravedere una possibile: «matrice criminale organizzata».

«Non vogliamo dire che a Ponza ci sia la criminalità organizzata, ma quel tipo di linguaggio – i segnali lasciati sul corpo – sono riconducibili a un linguaggio organizzato. Gianmarco potrebbe aver visto qualcosa. Forse un testimone scomodo, forse un bersaglio da mettere a tacere. E attorno a questo caso si è alzato un muro di silenzio insopportabile».

Il padre Paolo lo conferma: «Quando torno a Ponza, nessuno parla. Nessuno dà una mano, nemmeno in forma anonima. Ho ricevuto depistaggi, false testimonianze, racconti che si sono rivelati costruiti. Ho pianto in ginocchio davanti a certe persone, chiedendo solo la verità. Silenzio. Solo silenzio».

Un caso che rischia di essere archiviato, una famiglia in lotta

Nonostante tutte le incongruenze, la procura di Cassino ha chiesto l’archiviazione. Ma la famiglia si è opposta. Gli avvocati Gallo e Malara continuano la battaglia. Intanto, nuove perizie mediche hanno confermato: le ferite sul corpo non sono compatibili con una semplice caduta. Il caso è stato riaperto come omicidio.

«Il problema è che manca una testimonianza chiave» – spiega Maritato aggiungendo – «Servirebbe qualcuno che abbia il coraggio di parlare, per scardinare questo muro di paura».

L’appello alla politica: “Gianmarco è un simbolo”

Il 28 marzo 2025, la famiglia Pozzi sarà a Montecitorio per una conferenza stampa, grazie al sostegno dell’onorevole Stefania Ascari.

«È una battaglia che riguarda tutti» – dice Paolo – «Oggi è toccato a mio figlio. Domani potrebbe toccare a chiunque. Non possiamo accettare che un figlio esca di casa per lavorare e venga ritrovato morto senza giustizia».

«Gianmarco è come Stefano Cucchi, come Serena Mollicone, come Emanuela Orlandi» – aggiunge Maritato – «Una storia che ci riguarda tutti. Lo Stato ha il dovere morale di intervenire».

Il dolore, la speranza, la verità

Il caso Pozzi è una ferita aperta nel cuore di un Paese che troppo spesso lascia sole le famiglie nel dolore. Ma questa famiglia, quella di Gianmarco, non si è arresa. E non lo farà.

«Noi vogliamo solo la verità. Solo quella. Per Gianmarco. Per la giustizia. Per non lasciarlo morire due volte», ci racconta il padre di Gianmarco.

Ci sono storie che non finiscono con un punto. Storie che restano sospese, incastonate tra la rabbia e l’amore, tra il dolore e la sete di verità. La storia di Gianmarco Pozzi è una di queste. Un ragazzo che sognava, che amava la vita, che lottava sul ring e fuori. E che oggi lotta ancora, attraverso la voce di chi lo ha amato davvero. Una madre, un padre, due sorelle. E un’intera comunità che non si arrende al silenzio. Ma questa non è solo la loro battaglia.

È anche la nostra. Perché ogni volta che lo Stato resta muto, ogni volta che la giustizia tarda ad arrivare, ogni volta che un caso viene archiviato senza risposte… è la coscienza collettiva a fallire. E allora il nome di Gianmarco deve continuare a camminare tra le nostre parole, deve restare acceso nella memoria di chi legge, di chi ascolta, di chi ancora crede che la verità abbia valore.

Perché la verità non si archivia. Non si insabbia. La verità si cerca, si difende, si pretende. E finché ci sarà qualcuno disposto a farlo, Gianmarco Pozzi non sarà solo un caso irrisolto. Sarà il simbolo di una giustizia che reclama il suo posto. Sarà il volto di un figlio che merita pace. Sarà il pugno sul tavolo contro l’indifferenza.

E noi, tutti noi, abbiamo il dovere di non dimenticare.

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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