Al teatro Trastevere lo spettacolo “Fausto” di e con Alessandro Casiglia. E’ vincitore del Premio come Miglior drammaturgia e Miglior attore a Roma Fringe Festival 2023. E’ stato Finalista al concorso di drammaturgia Ponti di Carta.

Il monologo prende a pretesto la leggendaria figura di Faust, per sfogare in un flusso satirico/grottesco il declino dell’Europa e della sua filosofia,attraverso la crudeltà comica di un suicidio mai portato a termine, la beffa dei miti del progresso e del potere, il disastro naturale che ne consegue, l’assenza di Dio, il silenzio del diavolo.

Fausto, stanco della sua condanna alla vita eterna decide di suicidarsi,

ma il coraggio gli manca e le potenze oscure paiono abbandonarlo alla sua solitudine, non reagendo alle ripetute invocazioni. Alessandro Casiglia ci racconta questo suo lavoro.

Arriva Fausto, ci racconta qualcosa di lui?

È un vecchio spettro dell’ immaginario europeo che ritorna sulla scena,questa volta  in una tetra pagliaccieria da cabarettista dell’ occulto. La stanchezza isterica della civiltà. Oppure, un delirante ubriacone durante una nottata di tentativi suicidi. C’è Faust, e c’è l’attore. 

L’opera è vincitrice di premi importanti, una bella soddisfazione?

Sono molto contento che li abbia vinti, se li merita. Per il resto per fare il teatro ci vogliono i soldi, con le targhe si fa poco.

Qual è la trama?

Non c’è plot. Dietro ci furono Marlowe e Goethe certo, ma qui la storia si è rarefatta, diventa uno sfogo schizofrenico. La storia, intesa come dialettica, è circolo vizioso.  -Ogni volontà di sistema è una mancanza di onestà- diceva Nietzsche. Questo è uno spettacolo sulla patologia della programmazione storica, chiodo fisso dell’ Occidente moderno. 

Perché Fausto è stanco della sua condanna alla vita eterna e decide di suicidarsi?

Perché la vita eterna è una condanna. La certezza che un giorno si dovrà morire fa la dolcezza del vivere, solo la morte ci permette di amare qualcosa o qualcuno. Nel nostro triste secolo la morte è una completa rimozione, per questo non sappiamo vivere. Non sappiamo più come si vive.

Suicidarsi e’ un passo importante?

Finché uno piantandosi una palla in testa non riuscirà a prendersi anche un caffè, direi di sì.

Il suicidio porta davvero via dalla vita?

Se come vita si intende la vita umana, probabilmente si, in questo caso può essere una benedizione. Ma la vita è un insieme di cose di cui l’uomo è solo un paragrafo. 

E poi manca il coraggio, perché?

È appunto la rimozione che gradualmente in occidente si è fatta della morte. Il mito consumista ed edonista dell’ eterna gioventù. Quello liberale che fa dell’ uomo un essere sostanzialmente non violento ecc. pura ipocrisia. Tutto l’Occidente poggia i piedi sul crimine e sulla miseria altrui. Soltanto che non abbiamo il coraggio di guardare in faccia il fatto che la nostra macchina si muove col sudore e col sangue di altri uomini. Non potremmo ammetterlo mai, perché cortocircuiterebbero tutte le nostre istituzioni e il sostegno ad esse. Sono il denaro ed il potere che fanno i diritti di alcuni e il totale abbandono di molti.

Che cosa c’è in Fausto che non va?

Tutto ciò che non va nel nostro impero in declino. Fausto è il corpo che se l’assume, come il capro delle tragedie.

 

La caducità della vita e’ così implodente?

Ripeto:  la morte ci rende santi. Se in vita non abbiamo avuto la fortuna di esserlo.

La solitudine quando si insinua nella sua vita?

La solitudine si insinua sempre. Nel caso del nostro Fausto, cioè la cattiva coscienza occidentale, da quando ha creduto di bearsi nelle soluzioni e abolire le domande. 

Siamo sicuri che la responsabilità e’ solo della solitudine?

La solitudine non è una causa, è un buco dentro cui si cade. 

L’opera racconta sicuramente di più?

Una volta prodotta un’ opera genera da sé , al di là dell’ intenzionalità di un autore. L’autore non esiste più. 

Progetti 2024?

Porteró ancora Fausto al teatro ridotto di Bologna, poi il debutto a Belluno il mese prossimo di  ‘Guasti’,  diretto da Marco de Rossi e prodotto da Auge teatro. D’altro non posso parlare ancora. 

C’è sempre una via di fuga?

Bisogna assumersi il rischio di inventarsela.

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