Antigone

I fatti di cronaca nera che in questo periodo (e non solo) hanno riempito dilaganti gli organi di informazione rimbalzando da un notiziario all’altro, da un talk a un quotidiano, riportano alla ribalta la figura di Antigone. I miti, da sempre, ci hanno permesso di comprendere l’operato della natura umana svelandone i lati bui, le angolazioni celate, gli algoritmi indefiniti e le declinazioni improvvise. Parlare del mito di Antigone non è solo ricordare la storia di una ragazza che da sola ebbe il coraggio di contrastare leggi dello Stato da lei ritenute ingiuste ma è anche guardare come la potenza dell’esserci può diventare una ribellione romantica e solitaria contro il dominio ingiusto di un tiranno senza limiti. Oggi più che mai “il tiranno” ha mille volti che si schiudono nella notte oscura dell’amina conducendo all’interno di un mondo crudele dove la violenza ne è l’architetto indiscusso. Eppure, in ogni anima ferita, violata, trapassata dal dolore c’è un’Antigone, anche se non sempre si esprime e svela.

 

“Non pensavo che i tuoi editti avessero tanta forza, che un mortale potesse trasgredire le leggi non scritte ed incrollabili degli dèi. Infatti, queste non sono di oggi o di ieri, ma sempre vivono, e nessuno sa da quando apparvero” sebbene “il nemico non è mai caro, neppure quando sia morto”.

“Non sono nata per condividere l’odio, ma l’amore”, dice con forza Antigone.

Così Antigone fu imprigionata e lasciata morire in carcere. Tiziana Sensi, attrice, regista, autrice, insegnante di recitazione fa un lavoro poderoso riflettendo e riadattando l’opera con una drammaturgia che si pone all’occhio dello spettatore come stimolo e motivazione a riflettere. Guardando la drammaturgia di Tiziana Sensi viene da chiederci: «quando sono stato o stata un’Antigone?», «c’è stato un momento nella mia vita in cui non ho avuto il coraggio di Antigone?». Domande che possono porci in maniera così lucida e travolgente difronte all’accadere del nostro tempo guardando alle infinite declinazioni che si dipanano in un ventaglio di possibilità a volte tragiche altre volte inafferrabili. Tiziana Sensi ci porta con la sua grazia e il suo mistero all’interno del suo lavoro.

Perché Antigone è ancora oggi stimolo di riflessione?

Per chi non conoscesse la storia di Antigone, vorrei spendere due parole, se me lo consente. È una tragedia di Sofocle messa in scena la prima volta nel 442 a.C. Per questo lavoro mi sono ispirata all’Antigone di Jean Anouilh scritta nel 1941. La protagonista è un’adolescente, Antigone, figlia di Edipo e Giocasta, sorella di Ismene, Eteocle e Polinice. La storia comincia nel momento in cui i due figli di Edipo, Eteocle e Polinice, si scontrarono e si uccisero tra loro sotto le mura della città. I due dovevano regnare su Tebe un anno ciascuno, a turno, ma Eteocle, il maggiore, al termine del primo anno di potere aveva rifiutato di cedere il posto a suo fratello. Ora Tebe è quindi salva: i due fratelli nemici sono morti e Creonte, il re, ha disposto che a Eteocle, il fratello buono, siano fatti funerali imponenti, ma che Polinice, il buono a nulla, il ribelle, il teppista, sia lasciato senza lacrime e senza sepoltura, preda dei corvi e degli sciacalli e chiunque oserà rendergli il rito funebre sarà spietatamente punito a morte. Antigone però vuole dare degna sepoltura al fratello Polinice e viene quindi catturata dalle guardie di Creonte e condannata a morte. Una riflessione importante è sui due pilastri importanti della nostra società: il diritto ed il governo. Il diritto senza governo è anarchia mentre il governo senza diritto è dispotismo. Antigone oggi, è anche una ragazza profondamente consapevole del contesto sociale nel quale si muove. È priva di illusioni, non le manca il coraggio, quel coraggio che serve per opporsi all’ingiustizia.

Uno spettacolo dedicato alle vittime di violenza, quanto questo tema così profondo è di difficile gestione? Soprattutto perché?

In teatro siamo abituati ad affrontare temi importanti legati alla società. L’argomento è complicato per un problema culturale strutturato da millenni nei confronti delle donne, mi viene in mente una frase di una donna musulmana che ascoltai qualche anno fa: “noi cresciamo ed educhiamo i nostri carnefici”. Per questo motivo è complicato, è un problema culturale e di attenzione legato al significato profondo che diamo alle parole. Come scriveva Pirandello nei Sei personaggi in cerca d’autore: “Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre, chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo d’intenderci; non ci intendiamo mai!”.

Che cosa si rende necessario fare per cambiare questa declinazione così amara sulla

violenza verso le donne?

Una cosa che farei? Tre ore di teatro a settimana nella scuola pubblica, con artisti professionisti. Il gioco del “se io fossi”, “se mi trovassi in questa situazione, cosa farei?” è il gioco delle parti che mette in atto per iniziare a lavorare su un personaggio, un personaggio può essere vittima o carnefice, questo permette alle persone di provare e sentire sulla propria pelle delle emozioni molto forti. La differenza tra il personaggio che crei nel tuo mondo virtuale o nella tua mente è differente dal personaggio che vive e si muove sulla scena con altre persone che sentono e vivono quello che stai facendo. Inoltre, farei lezioni sulle emozioni, i ragazzi non sanno dare un nome alle emozioni che sentono, alcuni non riconoscono le emozioni.

Antigone può diventare simbolo di trasformazione, cura e attenta riflessione?

Antigone è il simbolo del cambiamento, della cura, così piccola ma così grande, ogni singola parola che pronuncia ti costringe a riflettere su ciò che sei e cosa potresti diventare, ci insegna che la paura e l’egoismo devono fare spazio alla forza e all’altro.

Una scuola di recitazione impegnata in un testo così denso di significati significanti: come lo hanno affrontato gli allievi?

Una scuola di recitazione ha l’obbligo di trattare argomenti che pongono l’allievo e lo spettatore ad una riflessione. Ogni anno trattiamo testi con temi di profonda riflessione, anche in chiave comica, ma argomenti importanti. Gli allievi sono stati entusiasti di questo progetto molto pop ma anche rock. Hanno lavorato sodo sulla recitazione, sulle coreografie e sulle canzoni.

Quanto è stato difficile costruire l’impianto drammaturgico e soprattutto quanta partecipazione emotiva ha coinvolto ed è stata tradotta in una declinazione riflessiva di

stimolo e motivazione al cambiamento?

Il metateatro, ovvero il teatro nel teatro, è una tecnica drammaturgica che amo molto, la trasposizione è venuta di getto, il lavoro sul testo e sul sottotesto ci ha permesso di lavorare con i ragazzi in modo consapevole sul valore del rispetto, dell’abuso di potere e sulla libertà individuale che non può e non deve essere limitata da nessuno se la mia libertà non nuoce all’altro.

Dal muro delle donne ai vari decreti, non ultimo quello che arriva come stretta significativo dopo il violento caso di Giulia Tramontano, sarà così oppure ancora una volta ci si ritrova mossi dall’emozione e poi tutto cade nel vuoto più crudo?

Il femminicidio di Giulia Tramontano e la morte del suo bambino Thiago ha sconvolto tante persone. Possiamo solo sperare che dopo il clamore emotivo e mediatico non si precipiti nel vuoto. Spero anche che ci sia la condanna per duplice omicidio, anche se la nostra legislatura non lo prevede, a meno che non riconoscono l’inizio del travaglio durante l’omicidio.

Chi sono i compagni di viaggio in quest’opera teatrale?

I compagni di viaggio sono gli allievi giovanissimi, tra i 16 e i 25 anni, de Lo Studio dell’Attore della Scuola Teatro Marconi: Cecilia Amato, Irene Chiappini, Alessandra Colonnello, Vittoria Depukat, Vera Di Carluccio, Francesca Faccini, Federica Loffredo, Riccardo Musto, Irene Pollastri, Rachele Troiani e l’attore Marco Pratesi. E poi due donne che stimo molto: la coreografa Giulia Colombo e la Vocal Coach Alice Corti, ma anche tutti gli altri colleghi/docenti che non nomino siamo tanti, illumina il viaggio Francesco Bàrbera, l’ufficio stampa Elisa Fantinel e Maria Ferrante la fata che ci assiste sempre. E poi il grande timoniere il direttore artistico del Teatro Marconi Felice della Corte.

Quanto la recitazione, il gruppo teatrale può aiutare a diventare persone etiche e rispettose di sé e dell’altro da sé?

Il teatro ci insegna la disciplina, allena l’empatia (l’ascolto vero, profondo), si lavora in gruppo l’altro è importante quanto lo sono io, senza l’altro in scena non posso far vivere il mio personaggio. Il teatro è un grande maestro per tutte le generazioni. Il teatro riflette sulla vita e la vita è lo specchio del teatro, quello che impari in quella scatola nera lo porti nelle tue giornate.

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