“De(ath)livery” drammaturgia e Regia di Andrea Cioffi con Andrea Cioffi, Sara Guardascione, Luigi Leone e Vincenzo Castellone andrà in scena al Teatro Trastevere in Roma.
Cercamond Compagnia Teatrale presenta “De(ath)livery” black comedy spietata ed irriverente. Lo spettacolo, già Selezione Ufficiale Premio Scenario 2021, è stato recentemente insignito del Premio Nazionale Città di Leonforte comeMiglior Spettacolo, Miglior Regia e Miglior Attrice.
Viviamo in un mondo spietato. La nostra generazione, quella dei millennial, i nati tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, ne è la più lampante testimonianza: perennemente under-qualcosa, sempre a correre dietro a lavori precari, con competenze e titoli di studio sempre meno riconosciuti, in una sfida costante contro la vita, all’ombra della generazione precedente. Soltanto un anno fa assistevamo al surreale licenziamento di Sebastian Galassi, 26 anni, rider che ha perso il lavoro il giorno dopo aver perso la vita; licenziato da una App, da un algoritmo che lo ha ritenuto non abbastanza efficiente. Una tragedia. La tragedia del nostro tempo. Per raccontarla abbiamo scelto il genere della black comedy, perché crediamo nel potere poetico, politico e catartico della risata. La mission della nostra compagnia, quella di coniugare schemi e ispirazione classici a contemporaneità di temi e linguaggio, fa sì che i nostri personaggi, pur riconducibili al presente, attingano al nucleo dei tipi fissi (i due innamorati, il dottore, il servo) per poi essere ricollocati in una commedia di situazione in cui scene e costumi strizzano l’occhio a serie tv come The big bang theory e How I met your mother. Una commedia, dunque, che non risparmia nessuno (più di un personaggio ci resterà secco), i cui protagonisti, sono meno diversi da noi di quanto siamo pronti ad ammettere.
La trama si snoda in un appartamento che è un mash-up tra lo stile sit-com americano e le case studenti di tutta Italia, in cui convivono tre coinquilini trentenni (una coppia di lavoratori precari e uno specializzando in malattie infettive) è accaduto un “piccolo incidente”. Un rider ha portato la consegna sbagliata e, per una disgraziata concomitanza di cause, non ha mai lasciato l’abitazione. Giace riverso al suolo, la testa fracassata dal souvenir di un viaggio in Egitto del padrone di casa. E pensare che era il suo primo giorno di lavoro presso la celebre azienda di food delivery Trust it…In una serie di rewind, flashback e moviole, il nostro narratore rider non più vivo illustrerà come si sono svolti i fatti di quella giornata: ci racconterà di una generazione vittima della fretta, dell’odio social e dell’assenza di certezze, che rischia sempre di perdersi nella disperazione e di diventare inevitabile vittima se non rende sé stessa, a sua volta, carnefice. Abbiamo intervistato Andrea Cioffi che ci conduce all’interno del suo lavoro.
Perché mettere in scena una black comedy?
Siamo in un momento storico crudele.
La maggior parte delle notizie che affollano le pagine dei quotidiani (web e non) è incentrata su violenze e soprusi (sociali, sindacali, razziali, personali, politiche…). Noi, come Cercamond Compagnia Teatrale (Sara Guardascione e Andrea Cioffi ndr) crediamo nel potere catartico della risata. La gente ha bisogno di ridere. Per intercettare un pubblico non soltanto di addetti ai lavori, pensiamo che una soluzione sia approcciare al genere comedy, che non si tratta soltanto, come spesso si crede, di un genere di vuoto intrattenimento, ma di uno spunto di riflessione sul quotidiano e sulla società.
E la black comedy ci consente di ridere e riflettere di personaggi grotteschi, violenti, pessimi e pronti a fare sempre la scelta sbagliata. “Ridete di loro e non fate che si abbia a rider di voi”, chiosava Goldoni (che di commedie ne sapeva sicuramente più di noi).
Di che cosa parla la commedia?
In un appartamento in cui convivono tre coinquilini trentenni (una coppia di lavoratori precari e uno specializzando in malattie infettive) è accaduto un “piccolo incidente”.
Un rider ha portato la consegna sbagliata e, per una disgraziata concomitanza di cause, non ha mai lasciato l’abitazione. Giace riverso al suolo, la testa fracassata dal souvenir di un viaggio in Egitto del padrone di casa. E pensare che era il suo primo giorno di lavoro presso la celebre azienda di food delivery Trust it… In una serie di rewind, flashback e moviole, il nostro narratore-rider-nonpiùvivo illustrerà come si sono svolti i fatti di quella giornata.
Come si scrive e perché si scrive una black comedy?
Come ti dicevo, la black comedy è un genere che appartiene profondamente al cinismo e alla violenza della nostra epoca. Per denunciare un disagio generazionale, causato dalla continua precarietà dei rapporti umani e del lavoro, ci sembrava il genere più adeguato.
Una scelta drammaturgica difficile, certo, poiché aderisce alle ferree regole della commedia, in un susseguirsi di scelte sbagliate e di equivoci, in questo caso spesso politicamente scorretti, che affondano la loro origine nella spietata natura dei protagonisti: dei veri e propri “tipi fissi” contemporanei (il dottore, gli innamorati, il servo), affetti da manie e perversioni terribilmente familiari per tutti noi.
Il pubblico ama questo genere di rappresentazioni?
C’è pubblico e pubblico, ovviamente. Usiamo un linguaggio sboccato e denso che talvolta può scandalizzare, ma fa parte del gioco; ci aiuta a sfondare immediatamente la quarta parete, ad accorciare le distanze. Non ci siamo inventati nulla di nuovo, lo faceva pure Shakespeare, quando faceva aprire alcune sue opere con un bel “’zounds!”. Che nonostante le traduzioni varie e eventuali è una vera e propria bestemmia.
Oggi sembra chissà cosa.
Ma proprio grazie a questo linguaggio, abbiamo ricevuto diversi pareri, spesso incentrati sullo spessore sociale che andiamo a rappresentare, più che sulla violenza della vicenda.
Il pubblico di tutte le età ride, partecipa, talvolta risponde al nostro narratore, ma alla fine prende coscienza di qualcosa di importante.
E questa è una soddisfazione, soprattutto quando si tratta di un pubblico eterogeneo. Vedere le varie reazioni è la parte più importante del nostro lavoro.
Lo spettacolo, è stato Selezione Ufficiale Premio Scenario 2021, oltre che insignito del Premio Nazionale Città di Leonforte come Miglior Spettacolo, Miglior Regia e Miglior Attrice, un traguardo importante?
I premi sono un’occasione e una condanna. È triste che per emergere, nel panorama nazionale, si debba gareggiare in un continuo mors tua vita mea deciso esclusivamente da una giuria super partes (nei casi migliori) che vede farne le spese le giovani compagnie. Un premio si assegna per moltissime motivazioni, che non sempre e non solo hanno a che fare col merito oggettivo. D’altro canto, è proprio in occasione dei premi e dei concorsi che si fa la conoscenza di realtà e compagnie che poi diventano colleghi stimati, rifugi dorati. È principalmente questo che ci sprona a parteciparvi, più che la singola vittoria.
Tre inquilini trentenni e poi?
E poi un rider. Quattro prototipi di millenial precari.
Quale incidente accade?
Il rider sbaglia la consegna. Nella discussione che ne consegue ne fa, accidentalmente, le spese in una dinamica tanto violenta quanto banale. Così inizia la nostra vicenda.
Che significato ha questo incidente?
Il rider inciampa, fatalmente, nel suo zaino dopo una breve colluttazione.
Ironicamente, durante le prove, eravamo soliti dire che “inciampa nel capitalismo”.
Una banalità che ha qualcosa di vero: nella società in cui viviamo ha più importanza il prodotto che l’altro. Credo sia questo il tema dello spettacolo.
È tutta colpa di Un rider?
È tutta colpa nostra, altroché.
Qual è di fatto il ruolo del rider?
Il nostro. rider è un moderno Servo della commedia dell’arte. Per sopravvivere a un mondo in cui il consumismo la fa da padrone, accetta un lavoro sottopagato, che per eccellenza oggi è rappresentativo della condizione precaria dei millennial, in barba ad ogni competenza, sogno o ambizione. Sia chiaro, è, neanche lui è uno stinco di santo. La vittima della storia è lui, ma è un puro caso. Nel suo diventare narratore della vicenda si eleva volontariamente a carnefice, aderendo, di fatto, alla violenza collettiva che andiamo a raccontare.
Chi sono gli altri inquilini?
Mara, interpretata da Sara Guardascione, una giovane laureata, supplente alle scuole elementari frustrata e sboccata; Jacopo, che ha le fattezze di Luigi Leone, uno specializzando in malattie infettive con dei picchi di sociopatia e Emilio, il nostro Vincenzo Castellone, un agente immobiliare fuori corso in Architettura, fidanzato inetto e passivo-aggressivo di Mara.
Una generazione disastrata.
Nella vita siamo sempre alle prese con un carnefice?
Volenti o nolenti. Spesso siamo noi carnefici. Ma non penso a quegli psicopatici dei film horror o ai nazisti del Terzo Reich. Talvolta siamo semplicemente così presi dai nostri problemi da non accorgerci di quanto tramortiamo il prossimo, psicologicamente o fisicamente.
Chi sono i suoi compagni di viaggio?
La squadra più bella del mondo, che è più o meno la stessa in tutti i nostri progetti.
Insieme a me è fondamentale Sara Guardascione, che oltre a essere una bravissima attrice, è parte del nucleo creativo.
Le idee della nostra compagnia partono spesso da lei o da entrambi.
E poi ci sono gli altri due meravigliosi attori, Luigi Leone e Vincenzo Castellone, che si fidano ciecamente di idee folli e spesso scomode.
Ci sta Ilaria Fierro che è la mia preziosa assistente alla regia e Gennaro Madonna, che ci supporta tecnicamente in giro per l’Italia.
E poi le scene di Trisha Palma, i costumi di Rosario Martone, le musiche del maestro Emanuele Pontoni, le luci di Andrea Savoia e la locandina di Cecilia Formicola.
Che cosa si aspetta ancora dal pubblico?
Spero che ridano. Che si emozionino. E che si sentano un po’ in colpa.
Quanto è difficile oggi interessare lo spettatore?
Molto. Bisogna fare innanzitutto i conti col pregiudizio.
Il pubblico spesso crede che a teatro ci si annoi. O al contrario che si debba fare un qualche sforzo intellettuale.
Noi crediamo nel pop, invece. La nostra sfida è proprio quella di portare in scena delle storie che siano specchio della società, con leggerezza, ma con studio e con precisione.
Il teatro è un lavoro sociale. Ma un lavoro che deve essere invisibile, ben congegnato. Altrimenti è saggistica, no?
Andrete in tour?
Per ora, dopo essere stati a Milano e Leonforte (EN), abbiamo Ostiano (CR) Roma e Foggia.
Contiamo di estendere il tour, però, ad altre piazze.
Progetti?
Siamo all’attivo con tre progetti: De(ath)livery; Raccontami Shakespeare, con cui giriamo da due anni e che è una favola sui fratelli Charles e Mary Lamb, autori inglesi dell’Ottocento che hanno una storia personale bellissima; e L’appartamento 2B, sempre sul tema dei millennial, in cui immaginiamo un novello Amleto alla presa con i dubbi che attanagliano la nostra generazione e che ci ha portato a vincere il Mario Fratti Award a New York e il Premio Leo De Berardinis a Napoli.